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ACAB 15a puntata

Un mese di domande

“…e così Novembre sale su, e mi ricorda che non siamo stati mai così distanti” canta Virginio, un nostro giovane concittadino. Sono passati ore, giorni, settimane, è passato un mese! Un mese senza giustizia, senza verità, senza che nessuno abbia pagato per il proprio folle gesto. Un mese senza Gabriele, senza il suo sorriso, senza la sua musica, senza la sua curva. La Famiglia Sandri non vuole arrendersi, il movimento non ha alcuna intenzione di arrendersi, a Roma, in Italia, in Europa, nel mondo intero. Ogni piccola grande realtà ultras ha sposato la causa di Gabbo e, quotidianamente, nelle curve, nelle strade, nelle scuole, urla la propria rabbia, lo sdegno, la vergogna di vivere in una società dove regna l’ipocrisia, dove il Potere è libero di fare il bello ed il cattivo tempo, la Democrazia è andata a farsi fottere, dove si può essere uccisi senza alcuna ragione e si può sopravvivere nell’impunità senza che la mano della Legge sia spinta sul capo del colpevole. Ma quale Legge? Quella che regala la libertà a ricettatori, usurai, stupratori e condanna un tifoso per aver voluto portare un po’ di colore nel suo settore con un fumogeno colorato? Quella che continua a difendere esponenti delle FdO corrotti e sbatte dentro l’anziano che per vivere è costretto a rubare un tozzo di pane al supermercato? Quella che rimette in giro assassini e pregiudicati senza che scontino nemmeno la metà della pena ed allo stesso tempo inasprisce provvedimenti e condanne nei confronti di un gruppo di tifosi che preferisce non allinearsi per esprimere la propria opinione ed espone uno striscione allo stadio senza seguire alcuna procedura in Questura? Di una Legge così siamo esausti, nauseati, devastati psicologicamente.

Gabriele ha raggiunto lassù quel Julien che perse la vita, per mano dello stesso “esercito”, lo scorso anno in terra di Francia, all’esterno del “Parco dei Principi” dopo la partita PSG-Hapoel TelAviv. Del suo caso parlammo ampiamente sul nostro blog, con la speranza che mai più si verificasse un nuovo episodio simile. Ebbene, a dodici mesi di distanza nella nostra amata Italia è successo anche di peggio. Ma fuori da uno stadio? Macchè, in autostrada! All’esterno di una birreria? Macchè, nel parcheggio di un autogrill! A seguito di scontri furibondi tra ultras di fazioni opposte? Macchè, non ci sono scontri, non ci sono feriti, solo ipotesi… ed un nostro fratello ultras morto, ucciso da una pallottola dello Stato. E chi ha sparato l’ha fatto per difendersi? Assolutamente no, di pericoli non ce n’erano, di nessun tipo, nessuno. E allora è logico continuare a chiedercelo: perché hanno ammazzato Gabbo? Per quale motivo? Cosa ha spinto quella mano a sparare? Dopo aver addirittura mirato, vi rendete conto? Cosa staranno cercando ancora poi gli “inquirenti” prima di bussare a quella porta per ammanettare l’omicida e rinchiuderlo in galera? C’è proprio bisogno di altre prove? C’è bisogno di altre vittime? O l’insabbiamento mediatico di questa vicenda è semplicemente un’operazione diciamo strategica per fomentare il rancore? Se n’è andato così il primo mese di domande, il primo mese senza risposte e quello che la Famiglia Sandri si appresta a vivere è un Natale buio, il più triste Natale che si possa immaginare, per due genitori che hanno perso un loro frutto, per un fratello che ha perso la propria metà, per una fidanzata che ha perso il proprio angelo custode. A poche centinaia di kilometri da Roma, come d’altronde in qualsiasi casa italiana, la famiglia dell’omicida scarterà pacchi regalo e brinderà, aspetterà l’alba del nuovo anno, accoglierà la Befana sul marmo del camino, come nulla fosse successo. Un Natale coi fiocchi, alla faccia nostra…

ACAB 14a puntata

Come volevasi dimostrare


E’ accaduto! E’ accaduto ciò che Stelvio Massi aveva preannunciato nel 1975, ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato, almeno tra le fila dei "benpensanti". Questa volta però è accaduto davvero, non è la trama di una sceneggiatura, non un ipotetico scenario, ma realtà, la cruda realtà, celata, nascosta, occultata, ma pur sempre realtà. Il colpevole ha un nome ed un cognome, eppure sembra non averli, sembra che ancora tutto sia da scoprire, con i media così alla spasmodica ricerca di una news che possa distogliere l’attenzione dal fatto ed i quotidiani pronti al solito teatrino post-domenicale. C’è il fatto, il morto ed anche il colpevole, per molti non c’è nulla, per noi c’è anche il movente. Forse inutile ripetere e ricordare l’avvenimento, a quest’ora solo gli stolti fanno finta di non sapere. Si svia, si mormora, si sussurra, si ipotizza e come accade sempre in questi casi, si usa il condizionale. Il condizionale che nei primi giorni dello scorso Febbraio non è stato mai utilizzato. Sarebbe stato colpito…, avrebbe sparato…, sarebbe partito inavvertitamente… Inutile rimanere allibiti, inutile essere esterefatti, si sà, questo è il loro modus operandi, come direbbe il più celebre dei criminologi. Hanno sempre agito così e continueranno a farlo, coperti dal Potere, difesi dalla Giustizia e armati dallo Stato. Si attende poi una reazione, che non tarda ad arrivare. Sì, fulminea, univoca, incontrollabile ed incontrastabile. Gli attori sono ormai esausti, sono stufi di essere le vittime predestinate, vivono ormai di abusi. Nessuno si domanda il perchè, nessuno si interroga, si preferisce puntare il dito, criminalizzare l’unica parte pulita, quella che nel bene e nel male è sempre lì sui gradoni o nelle strade, nelle piazze o nei settori. Si chiedono maggiori interventi, si auspicano miglioramenti delle strutture, si fà quasi campagna elettorale, ma non si piange un morto. Troppo uno qualunque per essere ricordato, troppo schierato per fermare il calcio! Già, quello sport nazionale che ormai viaggia via etere fino all’altra parte del Mondo e che subisce spostamenti magari perchè il monarca di un imprecisato stato africano, magnate appassionato di calcio e sponsor nel nostro Belpaese, a quell’ora è al bagno e quindi non può gustarsi gli avvenimenti in diretta, ma che continua invece imperterrito come avvenuto domenica. A Bergamo e a Taranto il popolo con la sciarpa al collo ha dimostrato di valere, lo ha fatto senza indugiare, riuscendo comunque a fermare la farsa dei potenti, che senza pudore hanno pensato prima ad intascare l’incasso, per poi andare in tv a criminalizzare la loro fonte di guadagno. Ci si indigna, ci si scandalizza, si grida al lupo, spostando l’interesse su tutt’altra cosa, da sempre, cercando di occultare l’inoccultabile, di giustificare l’ingiustificabile!


ACAB 12a puntata

Il pallone è nostro!

Dagli amici di "ActionNow PlayOldStyle" riceviamo e pubblichiamo un’interessantissima riflessione. Uno spaccato dell’attuale stato di salute del nostro pallone e dell’intero pianeta calcistico italiano. Prego…

"In Italia sta dilagando una nuova moda. Parlare a sproposito di calcio. Ma attenzione: non più quel calcio parlato con asineria suprema per la quale ogni impiegato, barista, avvocato o qualsivoglia altra figura professionale, una volta smessi gli abiti con i quali si esprime al lavoro, nasconde un commissario tecnico, un esperto di tattiche, fuorigioco, ripartenze e diagonali. No, anche questo tuttologo, tipo Biscardi vecchia maniera, oggi è superato. Il calcio del quale oggi è di moda straparlare è il calcio vissuto sugli spalti. Il calcio fatto di appassionati che seguono “the beautiful game” anche quando la propria squadra non litiga per i diritti televisivi ed invece campicchia visitando e calpestando campetti di infime serie. Se poi a questa figura di uomo “football-crazy”, figura ormai in netta controtendenza socio-culturale (eh sì, perché ormai è up-to-date seguire il rugby che fa molto più liberal e/o radical chic!) si appiccica qualche parolina magica tipo “ultras”, teppista, scontro, ululato ecc., ecco che addirittura ci sta tutto un pezzo da prima pagina, bello e fatto. E se magari non è proprio da prima pagina, pazienza. Qualche giornale troverà spazio nelle pagine della cultura, spazi ormai garantiti a mondanità vacue e notti bianche con cui satollare le frenesie di nottambuli consumatori di qualsiasi panzana mediatico – social – culturale.

Ecco allora che in un Paese in cui tutti sono esperti di tutto, in cui giganteggiano gli "opinionisti" ed i giornalisti, i veri esperti di ogni campo dello scibile umano, emergono fantasie morbose riguardo ad ogni tipo di aggregazione umana che segue una partita di pallone. Insomma, a farla breve, si è creato un paradigma assolutamente fuorviante: i tifosi di calcio, specialmente quelli delle curve, sono dei mostri feroci pronti a ogni tipo di scontro e blablabla. Persino dei presunti brigatisti rossi sono caduti nel qualunquismo banal-borghese quando, beccati in recenti intercettazioni telefoniche, si sono riferiti agli stadi parlando di luoghi privilegiati nei quali operare proselitismo, dato il disagio sociale da cui partono le lotte e ancora blablabla. Qualcuno, poi, molto di recente, sulle pagine de “La Stampa” ha addirittura fatto uno scoop scoprendo fitte trame delinquenziali di carattere europeo ed appuntamenti fatti di bicchierate e scazzottate un po’ in giro per il vecchio continente, il tutto per evitare di essere schedati in patria e tante altre ovvietà che viene il mal di pancia a leggerle. Ma siamo seri! Chi scrive da sempre segue partite di ogni categoria in ogni paese europeo che riesce a visitare. E senza il bisogno di mostrare né muscoli (non sarebbe uno spettacolo) né grinta; senza darsi appuntamenti clandestini per picchiare nessuno e senza tante altre falsità che riempiono la bocca di chi pensa che andare allo stadio sia come entrare nella gabbia dei leoni in un circo di periferia.

Il mondo del calcio, in verità, è ridotto piuttosto male. Dilaniato da interessi economici, da diritti televisivi ed altre insulse modernità. Dobbiamo sopportare presidenti saccenti, moralizzatori, collusi, falsi e tanto altro. Dobbiamo sopportare calendari in cui per esigenze televisive si gioca ogni giorno. Dobbiamo sopportare calciatori che a forza di frequentare le veline, si vestono come loro e si comportano come loro. Dobbiamo sopportare stadi a norma in cui quello che conta non è la sicurezza dei tifosi, ma la “scenicità” degli eventi. Dobbiamo sopportare un infernale chiacchiericcio infantile ed ipocrita fatto di infiniti “te-l’avevo-detto” ogni qual volta le cose finiscono male. Questo è il male del calcio. Non permettiamo a nessuno che, per salvare le baracconate miliardarie, si sposti l’attenzione dai veri problemi e si indichino quali responsabili del fallimento della società quattro fanatici che pensano che con la violenza negli stadi si possa diventare “qualcuno”. Allora, almeno noi che non cadiamo nel qualunquismo prefabbricato, sottraiamoci al coro di voci stonate che parla a vanvera di hooligans, trasferte, calci, pugni e tricchettracche. Allo stadio si va a sostenere la propria squadra o semplicemente per passione. A vedere una partita di calcio".

ACAB 10a puntata

Nomen omen

È proprio il caso di dirlo, sì… "nomen omen". Una locuzione latina, che tradotta letteralmente significa “il nome è un presagio”, per dare il benvenuto al nuovo Capo della Polizia, Antonio Manganelli. I latini davano per certo che “nel nome sarebbe racchiuso l’essere della persona” e chissà come avrebbero preso l’Ansa delle ore 20,16 dello scorso 25 Giugno. Una nomina, quella dell’ex numero due, “annunciata” e varata dal Consiglio dei Ministri. E le sue prime dichiarazioni? "Sono emozionato e commosso. Grazie al Governo ed alle forze politiche per fiducia e consenso. Ci metterò pazienza, passione ed energia. Questi sentimenti nascono dal rispetto che ho sempre avuto per lo Stato e dalla convinzione che le forze di Polizia svolgono un compito essenziale in un grande paese democratico come il nostro". L’Italia un paese democratico? Mah… il prossimo 2 Luglio si aprirà l’era Manganelli… e noi cosa dovremo aspettarci? Il “sorpassato” Gianni De Gennaro, intanto, sarà il nuovo Capo di Gabinetto del Ministro dell’Interno Giuliano Amato: questo l’incarico di prestigio al quale è stato inviato il Prefetto. E sì, De Gennaro, quindi, sostituirà Carlo Mosca nel delicatissimo incarico al fianco del Responsabile della Sicurezza Nazionale e resterà al Ministero dell’Interno, proprio nel Palazzo che lo ha visto insediarsi sette anni fa come primo poliziotto d’Italia. Una sovrapposizione degna del miglior pendolino Cafu.

Non mancano però le polemiche: l’Associazione ed il Sindacato dei Prefettizi sostengono che "in sostanza la gestione dell’intero Ministero dell’Interno sarà nelle mani di dirigenti della Polizia di Stato". Trattasi di un accentramento di cariche che non lascia indifferenti, e le ombre non svaniscono per niente. Eppure quel nome-garanzia tante volte è stato protagonista di dibattiti televisivi e dichiarazioni al vetriolo. Talvolta anche di circolari interne ai Questori di tutt’Italia, come lo stesso De Gennaro fece nel Marzo del 2001, in una nota che oggi fa da stimolatore a battute ironiche: “Basta manganelli!”. Scrisse: “Basta con l’uso disinvolto dei manganelli per sgomberare lo stadio e per cortesia non fate uso di lacrimogeni se non in situazioni davvero gravissime!”. Ben sei anni fa un invito chiaro, come a confermare quello che tutti sanno, e cioè che la stragrande maggioranza dei cosiddetti "disordini da stadio" non avvengono per scontri tra opposte tifoserie, ma per interventi della forza pubblica sui tifosi di una sola delle due. Una faccenda che desta sospetti ma non dimentichiamo che già nel 2001 c’era da difendere l’immagine della Polizia ed una Polizia che picchia troppo era ed è indifendibile.

Sempre “in quota” a De Gennaro la mitica frase: Non è giusto che i poliziotti usino il manganello (è vero, non ridete!), bisognerebbe evitarlo, ma a volte è come la sculacciata della mamma”. Così rispose ad alcuni studenti di una scuola di Ragusa che lo interrogavano sulla questione, dimostrandosi poco propenso agli “interrogatori”. Ma il De Gennaro pensiero meritava davvero attenzione, soprattutto se poi comparato alle effettive azioni dei suoi uomini sul territorio: "Occorre preliminarmente chiarire che l’impiego degli sfollagente e dei lacrimogeni deve essere ordinato in termini chiari ed espliciti dal Dirigente di servizio”. Ed ancora: “Si sottolinea la necessità di evitare il lancio dei lacrimogeni in ambienti frequentati da numeroso pubblico, come gli impianti sportivi e gli altri luoghi con analoghe caratteristiche, ove il loro impiego potrebbe (potrebbe?) provocare condizione di panico, con intuibili ripercussioni sulla sicurezza pubblica”. Parole apprezzabili, al momento purtroppo hanno il solo pregio di provocare sorrisi ironici, visto che in questi anni ne sono successe di cotte e di crude e tutti i buoni propositi dell’ex Capo della Polizia sono andati via via scemando. Eppure quelle frasi lasciano un segno indelebile, perché chiare ed ineccepibili. Valgono a dire che “senza ordini superiori, agli agenti, è fatto divieto di usare i manganelli!”. Sapete questo cosa significa, vero? Significa che il 90% degli "scontri da stadio" degli ultimi dieci anni non sarebbe neppure cominciato.

Intanto alle porte un’altra rivoluzione. Tutta colpa del decreto anti-violenza (violenza?) che, come si prevedeva, condizionerà la Campagna Abbonamenti ormai imminente di ogni società professionistica. La rivoluzione riguarda, infatti, i rapporti che, per decreto, non potranno più “essere in forma diretta fra la tifoseria e le società sportive”. Così a Firenze, tanto per portare un esempio, per non incorrere in problemi organizzativi, in vista dell’apertura della prelazione sulle tessere 2007/2008, sono state create due s.r.l. che gestiranno la vendita degli abbonamenti e dei biglietti per il prossimo anno. Le società in questione, Tutto Tickets srl ed Il Centro srl, faranno da cuscinetto nella gestione dei posti allo Stadio. Cuscinetto fra gli organismi di rappresentanza della tifoseria e la società viola. Per gli abbonati la procedura per l’acquisto delle tessere non dovrebbe comportare alcun disagio: in pratica le due società acquisteranno abbonamenti-biglietti su prenotazione dei club e poi gireranno agli stessi tessere e tagliandi. Chiariscono che “tutto questo avviene nel rispetto delle leggi in materia di sicurezza e che è stato fatto di tutto per evitare disagi ai tifosi”. Intanto, fra gli altri adeguamenti da assolvere per la completa messa a norma dello Stadio “Franchi”, c’è lo spostamento nella parte alta della gradinata (settore di tribuna laterale) della Sala Operativa della Polizia che dovrà monitorare gli spalti in occasione delle partite. I lavori sono previsti nel corso dell’estate e per avere più tempo a disposizione, la Fiorentina, in occasione della compilazione dei calendari, potrebbe chiedere di giocare in trasferta la prima di campionato (25 o 26 agosto). Ma ora diamo il nostro caloroso benvenuto a Manganelli con questo filmato d’annata. In azione “Zorro Boban”, alle prime armi con quella maglia numero 10 che onorerà con una grande carriera. Era il lontano 13 Maggio del ’90 e Zvonimir siglava una delle più belle giocate della sua vita.

ACAB 9a puntata

Federico vive

Torna d’attualità oggi, dopo oltre cinquecentoottanta giorni. Torna al centro dell’attenzione solo ora che il Tribunale di Ferrara ha fissato l’Udienza Preliminare per il prossimo 20 Giugno. Ed il grido di rabbia tuona ancora forte dalle pagine del blog che la sua famiglia ha creato appositamente per far luce sulla sua tragica fine: vi stiamo parlando del giovanissimo Federico Aldrovandi, morto nella lunga notte tra il 24 ed il 25 Settembre del 2005, a soli diciotto anni. “La morte avviene per strada, in circostanze non chiare, alla presenza di alcuni agenti di Polizia che sostengono di essere intervenuti su richiesta di alcuni abitanti della zona perché il ragazzo era in preda ad una violenta crisi e fortemente alterato” questa la versione che lo Stato tiene molto a difendere. Raccontarvi come la pensiamo è superfluo, per questo motivo la scelta di lasciare spazio alle sole parole materne, esplicite, emozionate, vere, cariche di tristezza e sfiducia nei confronti delle Istituzioni. “Scrivo la storia di quel che è successo a Federico, mio figlio. Non scriverò tutto di lui, non si può raccontare una vita, anche se di soli 18 anni appena compiuti. Ho sempre pensato che sopravvivere ad un figlio fosse un dolore… insostenibile. Ora mi rendo conto che in realtà non si sopravvive. Non lo dico in senso figurato. È proprio così. Una parte di me non ha più respiro. Non ha più luce, futuro… Perché il respiro, la luce e il futuro sono stati tolti a lui. Sabato 24 settembre è stato un giorno sereno, allegro… dopo la scuola il pranzo insieme, chiacchiere, risate. Era ancora estate, faceva caldo. Ha portato a spasso il suo amico cane. Non lo faceva spesso, ma quel giorno è andato con la musica in cuffia. Tutto in quel giorno aveva un’aura speciale. Pensandoci ora è come se avesse voluto salutare tutti noi. Ha avuto sorrisi per tutti… la gioia era lui. Ha incontrato la compagnia, ha fatto il suo lavoretto di consegna pizza. Il programma della sera prevedeva un concerto a Bologna. Prima di partire è passato da casa per cambiarsi le scarpe, rotte giocando a pallone… è stata l’ultima volta che l’ho visto vivo”.

“Ha salutato tutti, compreso il fratello che dormiva già, chiedendomi perché Stefano non avesse risposto al suo saluto. Una sua amica mi ha confermato che quella sera era sereno, che l’ha salutata sorridente con la solita pacca sulla spalla e l’appuntamento al giorno dopo… non è mai esistito il giorno dopo. Al Link il concerto era stato annullato. Quindi la serata è trascorsa lì dentro. L’hanno detto i compagni che erano con lui, non posso definirli amici, e le analisi lo hanno confermato. Uno dei ragazzi gli ha venduto una sostanza, una pasticca o simili. Lo definiscono lo sballo del sabato sera. È sbagliato si. Ma non si muore di questo… Federico lo sapeva bene. Era stato partecipe di un progetto scolastico di ricerca e informazione promosso dalla provincia. So che la sua era una conoscenza approfondita con ricerche sui siti delle asl, conosceva le sostanze e gli effetti. Ed era a suo modo un igienista. Aveva grande cura del suo corpo, di quel che mangiava. Era uno sportivo. Un ragazzo splendido pieno di salute. E di progetti: pensava alla musica, al suo futuro, lo studio serviva a costruire il futuro. Nell’immediato c’erano le cose semplici: la patente dopo pochi giorni, il karate, un band musicale da organizzare con gli amici, e la vita di tutti i giorni cercando di stare bene… trascorsa la serata il gruppo era rientrato a Ferrara, tornati al punto di incontro dove i più avevano lasciato le macchine, i motorini. Federico era a piedi. Era partito da casa in macchina con Michy, che poi non era andato a Bologna. Erano ormai le cinque del mattino. I ragazzi hanno raccontato che gli hanno offerto un passaggio ma Federico non aveva voglia di rientrare subito. Sarebbe tornato a piedi. Era vicino a casa… dal suo cellulare si vede che ha chiamato diversi altri amici. Specialmente i suoi migliori amici, un paio di volte ciascuno. Forse per chiedergli se erano ancora fuori… sembra che nessuno gli abbia risposto. I ragazzi che conosco mi hanno detto che avevano già spento il cellulare”.

“E poi non so cosa sia successo esattamente… a quell’ora mi sono svegliata, forse non del tutto, chiedendomi se Federico fosse rientrato. Avevo una stanchezza invincibile non riuscivo a muovermi. Poi ho sentito un rumore nella sua stanza ed ero sicura che fosse lì. Mi sono risvegliata che erano quasi le otto. Ho cominciato a chiamarlo e ad inviare messaggi. Non era possibile che non rispondesse. Se tardava mi avvisava sempre. Diceva sì che lo stressavo ma non voleva farmi stare in pensiero. Mi aggrappavo all’idea che avesse solo perso il cellulare poi l’ha chiamato anche suo padre. Sul cellulare di Federico il padre è memorizzato col solo nome, Lino. Una voce ha finalmente risposto. Ha imperiosamente chiesto chi fosse al telefono, ed ha chiesto di descrivere Federico. Poi si è qualificato come agente di polizia, ed alle nostre domande ha risposto che avevano trovato il cellulare su una panchina dalle parti dell’ippodromo e che stavano facendo accertamenti. Ed ha riattaccato subito. Immediatamente ho cercato in Questura, e ho cercato anche ripetutamente un amico che ci lavora. Nulla. Il centralinista rispondeva: c’è il cambio di turno… non sono informato, appena avremo notizie chiameremo noi. Niente per altre tre ore! Passate nell’angoscia e nelle telefonate frenetiche agli ospedali, ai suoi amici e di nuovo ripetutamente alla questura. Nel frattempo Stefano è accorso in bicicletta alla ricerca del fratello. Ringrazio il cielo che non sia andato nel posto giusto. La polizia è venuta ad avvisarci solo verso le 11. dopo che lo avevano portato via. Il suo corpo è rimasto sulla strada dalle 6 alle 11. E non mi hanno chiamata. Era mio figlio. Nessuno ha il diritto di tenere una mamma lontana da suo figlio! E mi hanno detto che lo hanno fatto per me… perché era meglio che non vedessi”.

“In quel momento gli ho creduto. La polizia ha detto che un abitante della zona aveva chiamato perché sentiva delle urla. Dicevano anche che si era ferito sbattendo da solo la testa contro i muri. Questo si è rivelato falso. Smentito dalle verifiche. Federico era sfigurato dalle percosse. Molto tempo dopo ho riavuto i suoi abiti. Portava maglietta, una felpa col cappuccio e il giubbotto jeans. Sono completamente imbevuti di sangue. Hanno detto che non voleva farsi prendere. Che ha lottato ed è salito anche in piedi sulla macchina della polizia. I medici hanno riferito che aveva lo scroto schiacciato, una ferita lacero-contusa alla testa e numerosi segni di percosse in tutto il corpo. Ho potuto vedere solo quella sul viso, dalla tempia sinistra all’occhio e giù fino allo zigomo, e i segni neri delle manette ai polsi. L’ho visto nella bara. Il suo corpo non sembrava più allineato e simmetrico. Il mio bambino era perfetto, e stupendo. L’hanno distrutto… e la polizia mi raccontava che era drogato. Che si era fatto male da solo. Che tutto questo era successo perché era un povero tossico e noi sfortunati. Lo vogliono uccidere due volte. Le analisi hanno confermato che quel che aveva preso era irrilevante. Non certo causa di morte né di comportamenti aggressivi. Semmai il contrario. Quel che penso è che Federico fosse terrorizzato in quel momento. Gli stava crollando il mondo addosso. La vergogna di essere fermato dalla polizia, la patente allontanata perché aveva preso una pasticca. E aveva dimenticato la carta di identità. Quella mattina nel vicinato dicevano che era morto un albanese. Nessuno si preoccupava più di tanto… Ha certo cercato di scappare. Di non farsi prendere. Visto com’era ridotto si capisce come lo abbiano fermato. Quando lo hanno immobilizzato, ammanettato a pancia in giù non ha più avuto la forza di respirare. Chissà quando se ne sono accorti? L’ambulanza è stata chiamata quando ormai non c’era più niente da fare. E nemmeno allora lo hanno portato all’ospedale per provare un intervento estremo. Lo hanno lasciato lì sulla strada. Cinque ore. Poi lo hanno portato all’obitorio. E solo allora sono venuti ad avvisarci. Perché? Se fosse vero che dava in escandescenze da solo perché non è stata chiamata subito l’ambulanza? Perché atterrarlo in modo tanto violento e cruento? Era solo. Non c’era nessuno. Era disarmato. Non era una minaccia per nessuno. Perché aspettare tanto prima di avvisare la famiglia? Chiaro. Per non farcelo vedere… se lo avessimo visto così cosa sarebbe successo? Che risonanza avrebbe avuto? Sul giornale del giorno dopo un articolo che dichiarava che era morto per un malore… tratto dal mattinale della questura. Il giorno dopo sull’altra testata cittadina "Federico sfigurato". Immediate controdeduzioni del Capo Procura: "Non è morto per le percosse". Questa è stata la prima ammissione di quanto successo. Ad oggi ancora non sono stati depositati ufficialmente gli esiti degli esami medici. Sono emersi solo alcuni dettagli che ho citato prima. Quel che non mi da pace è il pensiero del terrore e del dolore che ha vissuto Federico nei suoi ultimi minuti di vita. Non ha mai fatto male a nessuno. Credeva nell’amicizia che dava a piene mani. Era un semplice ragazzo come tanti. Come tutti i ragazzi di quell’età si credeva grande ma dentro non lo era ancora. Aveva tutte le possibilità di una vita davanti, e una gran voglia di viverla…”.


Meno di un mese e tutti in aula, davanti ad un giudice, e per la famiglia la possibilità di incontrare, vedere ed ascoltare gli attori di quell’orribile, infame, vigliacca, disgustosa, ipocrita, indifferente domenica mattina, di quel pazzesco 25 Settembre 2005. Quanti silenzi irreali e quanta evidenza di orrori ed errori. Quanta ipocrisia, quanta indifferenza, quanta ignoranza (non conoscere), se non fosse per il grande cuore di tanti genitori, tanti cittadini, e anche tante persone che vestono una divisa, che con i genitori di Federico chiedono solo di ascoltare chi finora si è avvalso della facoltà di non rispondere. “Il ricordo del tuo viso, dei tuoi occhi, del tuo sguardo, delle tue parole mi restituiscono ancora quella forza vitale per andare avanti, per percorrere una strada che poi non conosco, nella speranza che quando tu, finalmente, mi allungherai la tua mano, sarà dolcissimo sognare di tornarti accanto, per riaccarezzare  di nuovo i tuoi riccioli, piangere e sorridere ancora insieme a te, dimenticando tutto il male e la cattiveria che hai conosciuto e che, per il momento, continui a sopportare” lo sfogo del padre sulle colonne di www.veritaperaldro.it, che vi invitiamo a visitare. “Il profumo di te è ancora nella tua stanza. Tutte le tue cose (i tuoi libri ancora nuovi da sfogliare, il tuo zaino, i tuoi cd musicali, i tuoi pupazzi, le tue automobiline sotto il letto che tu ancora, nonostante ti credessi grande, custodivi gelosamente), sono sempre lì al loro posto, in attesa che io possa risvegliarmi da questo incubo e possa rivederti venire verso di me per condividere un abbraccio senza fine. Non era così che doveva finire la tua vita quel 25 Settembre, per incomprensibili momenti di interruzioni di buon senso, di legalità, di pazienza, di professionalità, di rispetto, o non so cosa… Dovevi essere ancora qui a gioire, a soffrire, a crescere insieme a noi. Fino in fondo”. Seguiremo ancora questa vicenda, per la memoria di Federico e per la difesa della verità e della giustizia, sempre.

ACAB 8a puntata

…pensieri e parole 3


…entriamo, non entriamo …lo esponiamo, non lo esponiamo …contestiamo, non contestiamo …ci autosospendiamo o ci sciogliamo? Ormai sull’orlo di una crisi di nervi, il movimento ultras italiano vive una delle più brutte primavere degli ultimi anni, confuso e quanto mai inerme difronte ad accadimenti e decreti subdoli che di certo non agevolano chi di una maglia ha fatto la propria ragione di vita. Siamo noi i colpevoli, gli unici, e lo si era capito già da un pezzo, ma a cosa serve ora piangerci addosso? Siamo o non siamo noi quelli che su metri e metri di carta da parati hanno spesso spronato il proprio simile alla battaglia (ideologica, si intende!), con frasi del tipo: “Fino alla fine” oppure “Non un passo indietro”; “Non mollare” o ancora “Ultimi a morire”. Beh, viene da pensare che quei lunghi rotoli di carta siano stati del tutto inutili, o l’ennesima puntata di una coerenza che latita in questi ambienti!

Sì, perchè proprio di ciò si sta parlando, di come in molti abbiano approfittato del momento per uscire di scena, con la coda tra le gambe, senza combattere un sistema con crepe nascoste eppure profondissime. Sembra quasi che si stia scegliendo di percorrere un’altra strada, quella che forse porta alla scomparsa di quel fenomeno sociale nato alcuni decenni fa e che tanto ha fatto parlare di se, e che sicuramente ha dato una grossa mano per rendere spettacolare uno sport in declino ed oggi sempre più “platonico”. Gli abusi continuano, e noi ne sappiamo qualcosa, e con essi continuano anche le tante diffide e le denunce, non dobbiamo certo essere noi a dirvi in che modo e con quale cadenza, ormai tutti sono nell’occhio del mirino e chi tanto si fregia dei propri uomini, non aspetta altro che aumentare la lista già corposa dei firmatari. Siamo giunti ad un punto di non ritorno, ma sarebbe da conigli abbandonare ora la nave, proprio mentre abbiamo la possibilità di dimostrare di essere non certo la parte buona, ma almeno di non essere soli nelle fila dei cattivi. Poco più di due mesi fa ci hanno massacrato e macellato, etichettati come criminali qualunque senza un minimo di prova o un benchè minimo filmato, ma ora che vengono fuori verità nascoste, nessuno di noi ha il coraggio di alzare la voce e dimostrare la propria innocenza davanti ad un popolo che non fa altro che ripetere le parole senza senso di chi con una penna e trenta righe ingrossa il proprio portafoglio. Perbenisti e moralisti che ancora affollano le grandi reti ormai hanno una sola voce unanime: “Modello inglese” …e tutti a congratularsi ed applaudire l’ultimo degli stolti che fa sfoggio della sua terza media, ma l’importante è sempre quello, basta pronunciare la parolina magica: “Modello inglese”!

Sì, proprio Lei, l’Inghilterra, quella dell’Est End con le sue duecento bande giovanili che imperversano libere nella zona più malfamata di Londra, tra uno Stanley ed una P38, senza che nessun Bobbies abbia il coraggio di intervenire con il manganello spianato… tanto non sono mica ultras o hooligans! L’Inghilterra dei pubs ma quelli che cambiano la vetrata ogni mese; l’Inghilterra della violenza zero negli stadi, ma 100 fuori; l’Inghilterra dei 40 feriti e 18 accoltelati in Chelsea-Tottenham …che bel modello da seguire! Ma poi ci si ferma per un istante e si rimane a pensare e di colpo un’illuminazione a caratteri cubitali: EUROPEI 2012! Eh sì, una gran bella torta fatta di bigliettoni da intascare, ed è così che anche le menti più lente ad apprendere hanno un forte sussulto ed il puzzle mai ultimato si combina da solo aprendo uno scenario del tutto nuovo! Stadi nuovi, sponsors, tanta pubblicità, convenzioni e soprattutto fior di tangenti, per la gioia dell’ultimo politico affarista.

Ed ecco allora un giro velocissimo di telefonate ed una rassicurazione de “le Roi” in persona ed il gioco è fatto! Chissà chi ospiterà gli Europei 2012??? C’è chi già irrobustisce il petto mostrando fiero una violenza spropositata, correndo poi in televisione a difendere l’indifendibile, e sperando in una “prova del 9” proprio in occasione di un evento sportivo di grande portata per poter dimostrare ai colleghi d’oltreManica di non essere da meno. Indubbiamente una bella idea, ma crediamo che questi signori abbiano fatto i conti senza l’oste, dimenticando forse che in un eventuale manifestazione del genere arriverebbero in Italia persone di tutto rispetto e dal rinomato aplomb come ad esempio gli stessi Inglesi, i Tedeschi, i Polacchi, i Russi, i Greci, i Turchi ed i Croati. Se i sopracitati manterranno viva la propria fama, non ci rimane che sperare ed incrociare le dita e gustarci gli scontri! Naturalmente, si sà già per chi tifiamo!!!

ACAB 7a puntata

per Paolo, per tutti

Sono passati ormai diciotto lunghissimi mesi da quel 24 Settembre 2005, ma di Giustizia non se ne parla, e probabilmente mai se ne parlerà. Se non avete mai sentito questa storia tenetevi forte perché vi stupirà: al “Bentegodi” di Verona l’Hellas ospita il Brescia, ed il gruppo ultras  dei “Brescia 1911” sta raggiungendo lo stadio a bordo di due treni speciali. Le nuove leggi che impongono biglietti nominali (in barba alla legge sulla privacy) stanno per scatenare un inferno. Solo il Giovedì sera, due giorni dopo l’inizio della prevendita dei tagliandi, viene comunicato agli ospiti di dover arrivare muniti di copia della carta d’identità. Cosa impossibile visto l’esodo di oltre mille unità e il breve preavviso: i bresciani decidono di partire lo stesso, con tutti i biglietti, ed alla stazione trovano enormi cordoni di Polizia in postazione di accoglienza. Alcuni agenti allora danno il via alla provocazione: "Come a Modena, come a Modena!" (stuzzicando i supporters sull’episodio di qualche anno prima, dove gli stessi rimasero vittime di un’imboscata da parte della Polizia conclusasi col ferimento di diversi ragazzi e due agenti della Digos), e "Vediamo se dopo ci andate ancora, in trasferta", ed altre frasi intimidatorie. L’obiettivo era chiaro! Con mille persone davanti più di tanto non possono fare, se non ammonire tutti di avere copia del documento la prossima volta, perciò scortati su diversi pulmann gli ultras arrivano allo stadio dove i primi gruppi sono già arrivati e stanno per entrare. Ci sono anche parecchie auto private ed otto tifosi giunti con mezzi propri non hanno con se il biglietto. Onde evitare problemi i leader del gruppo cedono loro i biglietti del settore affinché possano entrare, e come di solito accade, denaro alla mano, cercano il Responsabile per l’acquisto di altri otto tagliandi. Le norme però vogliono che i biglietti siano venduti solo fino al giorno prima. Le insistenze dei tifosi bresciani sono vane, dopo varie telefonate il Responsabile dice di avere avuto ordini dall’alto e il NO diviene irrevocabile. Il gruppo dei “Brescia 1911” decide così di restare compatto fuori dall’impianto, gli altri gruppi vogliono uscire ma vengono chiusi dentro il “Bentegodi”, come nei sequestri di persona.  

La partita volge al termine, senza alcun problema di ordine pubblico o sicurezza, ed i tifosi ospiti vengono fatti salire sugli autobus per essere nuovamente scortati alla Stazione. Nel frattempo, all’interno dello stadio, una porta che divide il settore ospiti da quello dei locali viene "inspiegabilmente" lasciata aperta, ed alcuni bresciani partono per cercare il contatto con i veronesi. Piccoli tafferugli, poi tre ragazzi vengono portati via. La Polizia fuori inizia a comportarsi in modo strano: la tensione aumenta, gli uomini dello Stato sembrano quasi drogati, bava alla bocca ed occhi sbarrati, pronti al massacro. Per il momento non accade nulla di grave, se non il ferimento di un anziano tifoso veronese, colpito alla gamba da un lacrimogeno lanciato ad altezza d’uomo. Arrivati alla Stazione, in attesa del secondo carico di ultras, la gente comincia ad occupare i posti del treno, mentre molti se ne stanno su di un binario morto ad aspettare i compagni. Gli altri gruppi sopraggiungono, ed i responsabili dei diversi nuclei vanno dalle Forze dell’Ordine per sapere qualcosa di più in merito alle persone arrestate e cercando, ovviamente, di riaverli indietro. A questo punto succede l’inimmaginabile. Dalla testa e dalla coda del treno partono cariche feroci che spingono i ragazzi sulle carrozze: queste hanno entrambe le porte aperte così, visto che la carica prosegue anche sopra il treno, molti scendono dalla parte opposta. Anche da dietro parte una carica: sembrano le solite, quelle di alleggerimento alle quali gli ultras sono tristemente abituati, ma stavolta la cosa va avanti. È molto di più della solita carica! Gli scontri non risparmiano donne (ferite al volto, al ventre e al seno, tutto documentato da foto), uomini di una certa età e ragazzini, molto giovani. Gli agenti colpiscono con manganelli rigorosamente impugnati al contrario, come vuole "l’etica professionale", lanciano ancora lacrimogeni ad altezza d’uomo, pietre (con le quali rompono vetri del treno), spray urticante sparato in volto. Tra le frasi minacciose ("Puttana, ti ammazziamo!") e diversi gesti di collera sembrano più belve che uomini.

In questo frangente accade il fatto più grave: Paolo S. riesce a scappare sul treno, trova i suoi amici e racconta cosa gli è appena successo ("Mi hanno manganellato in cinque sulla testa e mi hanno stordito con lo spray!"), un minuto ed inizia a sentirsi male, fatica a respirare e viene fatto scendere dal convoglio. La Polizia chiama l’Ambulanza e, visto lo stato di Paolo, lo fa con un codice Giallo-Due. Le sue condizioni si fanno sempre più gravi: la respirazione si fa più difficoltosa, vomita verde e comincia a perdere conoscenza. Dopo venticinque minuti arriva l’Ambulanza: gli operatori, constatando le gravissime condizioni in cui versa Paolo, chiamano un secondo automezzo con codice Rosso-Tre che in cinque minuti arriva e porta il giovane bresciano all’Ospedale di Borgo Trento, dove sarà immediatamente operato per la rimozione di un grosso ematoma alla testa. Nel frattempo parte una seconda carica, ancor più violenta. Altri quattro ragazzi vengono portati via dalla Polizia: alcuni, storditi dallo spray, vengono aiutati dagli agenti della Polfer, spettatori inermi e sbigottiti del massacro (perché è di questo che si è trattato). Altri riferiscono di aver chiesto ad alcuni celerini se non si vergognavano di cosa stessero facendo i colleghi e di essersi sentiti rispondere: "Sì, infatti è per questo che siamo qua fermi". Ma perché, visto che a noi vogliono imporre il biglietto nominale, non impongono a certi esaltati la divisa nominale come, per esempio, avviene in Inghilterra o in Germania? Là quando uno sbaglia, paga. Alla richiesta di parlare con un responsabile, viene riferito che al momento non è disponibile. Agenti della Digos non ce ne sono. L’unica cosa che accade è che un uomo, da dietro, dà l’ordine di partire con le cariche, quasi un "Al mio segnale scatenate l’inferno". Il tutto dura più di un’ora. Un’ora di inferno!

Partito il treno (uno solo con a bordo mille persone anziché due come all’andata, altro che sicurezza), i primi feriti gravi vengono fatti scendere a Desenzano del Garda per essere portati in Ospedale. Il treno arriva a Brescia verso le 21,30: gli ultras si dirigono subito alle sedi dei due giornali locali, il “Giornale di Brescia” e “Brescia Oggi”, per mostrare i feriti e raccontare i fatti accaduti a Verona. Per due giorni le versioni dei tifosi bresciani si alternano a quelle della Questura di Verona. Poi il silenzio, o quantomeno un clamoroso tentativo di censura dei fatti accaduti: sì, è stata aperta un’inchiesta, ma tutti sanno che la verità non salterà mai fuori ed il colpevole mai pagherà. La sera stessa il Questore di Verona si permette di diramare un bollettino medico sulle condizioni di salute di Paolo, dicendo che il taglio di 5 cm sulla testa è compatibile con il lancio di un sasso da parte di un gruppo di veronesi (assenti alla Stazione!) oppure il risultato di una brusca caduta a terra. Il giorno dopo invece pensa bene di supporre che Paolo sia rimasto ferito addirittura all’interno dello stadio. Dal canto loro i medici non hanno ancora diramato un bollettino ufficiale: parlando con i familiari chiedono loro come Paolo abbia potuto ferirsi in maniera tanto grave, escludendo tutte le varie versioni fornite dal Questore. Giornali e telegiornali invece, dando per vera e certa la notizia fornita dalla Questura, smettono di parlare del caso. Per tre mesi Paolo rimane ricoverato in prognosi riservata nel Reparto di NeuroChirurgia dell’Ospedale di Borgo Trento a Verona.

Il 5 Gennaio 2006 il gruppo dei “Brescia 1911” indice una Conferenza Stampa insieme alla famiglia di Paolo. Per la prima volta anche chi non era presente a Verona può vedere coi propri occhi quello che i mille tifosi hanno subito: nei mesi precedenti sono state raccolte fotografie, video-riprese da cellulari, testimonianze su quel tragico giorno. Sono momenti di commozione e rabbia, da pochi giorni Paolo è stato dichiarato fuori pericolo, ha cominciato la lunga riabilitazione e nei week-end può persino tornare a casa, nella sua Castenedolo. Gli amici di Paolo, i gnari, riprendono ad andare in trasferta senza mai dimenticare neppure per un attimo quel loro amico vittima di "veri e propri criminali". Dopo un vergognoso comunicato congiunto dei sindaci di Brescia e Verona per il derby di ritorno, nel quale stranamente il fatto appare come opera dei soliti facinorosi, il 18 Febbraio, a Brescia, ha luogo una manifestazione aperta a tutti, ultras e non solo, di ogni colore e fede, dedicata a Paolo, alla Verità, alla Giustizia. Partecipano diversi gruppi provenienti da tutt’Italia, di ogni categoria, e finalmente il Primo di Aprile del 2006 Paolo torna nella sua Curva Nord, riabbracciato dai suoi amici e dal calore del tifo.

Ne è passato di tempo da quel 24 Settembre eppure nulla è cambiato, anzi, forse qualcosa sì. Il Questore di Verona sembra abbia subito un provvedimento: si dice sia passato da Servizio Stadio Hellas Verona a Servizio Stadio Chievo Verona. Bella soddisfazione! Tutto questo per colpa di chi infanga la divisa che porta abusando di quel briciolo di potere che ha. Perché non si può ridurre un uomo in fin di vita per una partita di calcio. Bisogna che i colpevoli vengano a galla, che chi sa si faccia onore e parli della vicenda. Non crediamo che in tutta la Stazione non ci siano telecamere a circuito chiuso. E’ impossibile! Non credo che un poliziotto con un minimo di decenza, di dignità, non si sia reso conto di cosa stava accadendo in quel momento. Paolo intanto sta ancora lottando per tornare a vivere davvero, a cantare e a gioire in curva, come una volta. Un massacro destinato a restare impunito. La Procura di Verona ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta. Le indagini condotte dal Sostituto Procuratore Pier Umberto Vallerin non sono riuscite a risalire ai presunti colpevoli. Non perché il fatto non sia effettivamente avvenuto, anzi sul fatto che sia stato commesso un "efferato pestaggio", come si legge negli atti della richiesta di archiviazione e come sempre sostenuto dagli ultras bresciani, gli inquirenti non hanno dubbi. Il problema è che mancano nomi e cognomi degli autori. Nella versione della Polizia, inoltre, si parlò di una ferita compatibile con le dimensioni di un cubetto di porfido, tesi smontata poi dal referto del Pronto Soccorso e dalle conclusioni dell’inchiesta che ha appurato come i traumi siano stati causati da gravi e ripetute percosse. Non un incidente insomma ma un pestaggio, quello che da sempre ha sostenuto l’Avv. Ennio Buffoni, legale della famiglia di Paolo.

Paolo è stato massacrato solo perché indossava una sciarpa biancoblu, solo perché aveva deciso di seguire la sua squadra del cuore. Alla Stazione di Verona si è perpetrato un massacro di gente indifesa, senza la minima motivazione. Nessuno ha avuto il buon senso di segnalare che l’Ambulanza che ha soccorso Paolo arrivò senza sirene con un codice “Giallo 2” (nulla di grave!), quando invece tutti i presenti avevano capito la situazione disperata (l’Ambulanza ripartì infatti col codice di massima gravità “Rosso 3”). E allora ci poniamo alcune domande. E’ libero un sistema d’informazione che, quando un errore di tale portata è commesso dalle Istituzioni, fa scendere sull’accaduto una coltre di confusione, silenzio e mancato approfondimento? E’ libero un sistema d’informazione che non denuncia le falsità, evidentemente contraddittorie, dette da un personaggio che rappresenta le Istituzioni pubbliche? Perché quando si tratta di Ultras la burocrazia è velocissima… e le condanne colpiscono i presunti colpevoli ancor prima di essere processati, mentre quando sbaglia un rappresentante delle Istituzioni la giustizia è sempre molto lenta o inesistente? Le Istituzioni, i media, i politici ed i magistrati hanno il dovere di rispondere a queste sacrosante domande. E’ l’unico modo per sgretolare il muro di gomma eretto davanti alla Verità, l’unico modo per fare Giustizia e dare a Paolo la forza di sorridere sempre, nonostante tutto.

ACAB 6a puntata

…pensieri e parole 2

Ed è così che ogni giorno sui quotidiani compaiono in splendida successione gli episodi di violenza che condiscono lo sport più amato dagli italiani e non solo. Ci si azzuffa per poter dare per primi la news del giorno, si fà a gara per poter raccontare, spesso faziosamente, una sparatoria nelle categorie minori in Francia o una rissa in campo e fuori in Inghilterra. Sì, l’Inghilterra, quella da prendere come “esempio”, quella da emulare, quella dove chi commette un reato sconta l’intera pena, non come in Italia. Mi verrebbe da pensare che se si rispettasse questa linea… di condotta, di Deputati al proprio posto ce ne sarebbero pochi, anzi pochissimi! Ogni giorno pagine e pagine di notizione da gustarsi molto lentamente, contemplando il mondo pallonaro ed infangando e colpevolizzando sempre la stessa “parte marcia”. C’è chi in questo momento cavalca l’onda, chi cerca di ingrossare il portafoglio e risponde al nome di Stefano Calvagna, regista che a giorni comincerà le riprese di “Appunti sull’anima”, un film che racconta di un ultras che dopo aver ucciso un giovane tifoso avversario, scappa al Nord, iniziando una vita da latitante. La cosa ancor più agghiacciante è che lo stesso Calvagna afferma di essere stato lui stesso un ultras, un ultras della Nord laziale, ora pentito del proprio passato, ma il mio istinto mi dice che dopo questa geniale trovata farà la misera fine di Claudio Amendola, ripudiato dal CUCS! Due esempi di moralismo ignorante, e affarista.

A quasi un mese da quel venerdì ancora non ci è stato mostrato e dimostrato nulla… per ora “solo” arresti, perquisizioni, abusi e un capro espiatorio servito su un vassoio, anzi su un water! Ci si è fermati per Raciti ma si è chiuso un occhio per Licursi, ma nessuno ha osato parlare, nemmeno oggi, giorno tristissimo per chi ama il cacio…sì, perchè ieri Domenica 25 Febbraio allo Stadio San Filippo di Messina un uomo di 71 anni ha perso la vita. Amava la sua squadra, la sua città, quel giallo e rosso messi insieme su una casacca, ed è per loro che è morto, per l’immenso amore che provava per il Messina. Al 47′ del secondo tempo, in concomitanza con il gol di Alvarez che ha dato i 3 punti alla squadra dello stretto, l’uomo si è accasciato su un seggiolino della Tribuna B ed a nulla sono serviti i soccorsi! Nessuno parla, nessuno informa, nessuno “urla al vento”, i giornali celano o raccontano in 2, massimo 3 righe! Si era detto che “non si può morire per una partita!” e mi domando se ora fermeranno nuovamente i campionati, ma chissà perchè sento di avere già la risposta pronta!!!

 

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