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ACAB 25a puntata

…ci risiamo, e sì!


Si sprecano parole, si urlano accuse, si puntano gli indici contro, si colpevolizza sempre la stessa parte, si aprono le inchieste, si attuano provvedimenti, si arresta e si "giudica", senza la possibilità di difesa alcuna. Certo, i danneggiamenti e le devastazioni non lasciano spazio a giustificazioni, i comportamenti che poco hanno a che fare con questo mondo di regole "non scritte" non trovano spazio nella ragione. Il problema, però, è sempre lo stesso e difficilmente troverà una risoluzione. L’Osservatorio era a corto di idee, ma ieri in una sola giornata di campionato ne ha trovate così tante e variegate da poter continuare senza ostacoli quest’opera di privazione che va avanti ormai da due anni. Una trama pressochè perfetta, senza sbavature, un "lasseiz faire" da mandare in onda in tutti i telegiornali per dimostrare a chi ancora fosse all’oscuro di tutto che chi impersonifica il cattivo, potrà anche girare altri 1000 film da buono, ma sempre cattivo verrà considerato. Il miglior Alfred Hitchcock avrebbe iniziato a tremare davanti ad una sceneggiatura del genere, messa a punto sotto ogni aspetto, curata in ogni minimo dettaglio e purtroppo vincente. Chi oggi gestisce, o meglio tenta di gestire l’ordine pubblico, ha dimostrato per l’ennesima volta di voler aggirare l’ostacolo, credendo forse di evitare qualsiasi tipo di problema. Se non c’è scappato il morto lo si deve solamente al caso. Strane decisioni e ancor più strane anomalie che riportano alla mente l’ormai famoso Catania-Palermo. Anche in quel caso l’Osservatorio acconsentì alla trasferta dei rosanero sotto l’Etna pur essendo ben a conoscenza dell’accesa rivalità tra le due città, ed anche allora  tifosi ospiti poterono accedere all’interno del loro settore solo a partita abbondantemente iniziata.


Ora, cari benpensanti, qui non si vuole "giustificare nessuno", tantomeno coprirsi gli occhi, anzi. Bensì solamente far luce sul perfetto piano che Questure ed Osservatorio hanno partorito. Purtroppo il marcio è ovunque ed il piano è riuscito alla perfezione. Ma adesso per un attimo cercate di impersonificare un ultras partenopeo voglioso di ritornare all’Olimpico dopo l’impossibilità di farlo negli ultimi sette anni. File interminabili per accaparrarsi il biglietto, attesa spasmodica alla ricerca di un treno, essendo poi costretto a sentirsi affianco il respiro di un gendarme prevenuto che non ti permette neppure di usare i servizi igienici. Il treno che ritarda, classico, la gara che incomincia, la rabbia che sale, la gran voglia di confrontarsi con il rivale di turno. L’arrivo allo stadio, le perquisizioni, le cariche di alleggerimento delle FdO. La partita o quello che ne rimane, poco più di 40 minuti. La detenzione nel settore fino alle 21, il viaggio sugli autobus Atac e finalmente il ritorno col treno delle 22. Dite la verità! Dopo aver speso un patrimonio, aver subito manganellate, essersi visti privati della visione della partita, esser rimasti 4 ore in un settore ed esser potuti tornare a casa solo in tarda serata avreste detto "Buonasera" al ferroviere? Certo, magari, se proprio bisognava trovare il vero colpevole meglio cercarlo tra le divise che su un InterCity. Il problema però è un altro, ahinoi. C’era il formaggio, c’era la trappola… ed il "topolino" si è dimostrato poco furbo! Troppo poco furbo.

ACAB 24a puntata

Penne deliranti


Scrivere è un passatempo per qualcuno, un lavoro per altri, uno sfogo per chi non ha meglio da fare che distorcere la realtà. Peccato che di fumo nei nostri occhi ce ne sia passato già parecchio e che ormai siamo piuttosto guardinghi nel farci annebbiare le pupille da queste penne deliranti. Peccato per loro, che sprecano fiumi di inchiostro per allinearsi al pensiero comune. E non fà nessuna differenza per questi signori sapere che c’è un’altra verità, l’unica, mai venuta fuori dalla sabbia, mai scritta da nessuno perchè troppo scomoda e impopolare. L’esercito degli stolti incrementa le proprie fila di giorno in giorno, perchè tra tanti argomenti da scegliere si opta sempre per quello meno compromettente, puntando il dito verso chi non ha difese, verso chi ormai viene accostato solo alla violenza, verso Noi Ultras. Forse "fare giornalismo" al giorno d’oggi è sinonimo di "celare la verità". All’indecenza non c’è mai limite e ce ne siamo accorti sfogliando per caso le pagine più pubblicitarie che informative dell’ennesimo magazine diffuso in città. Vedere qualcuno che si interessi alla tematica ultras fà sempre piacere, ma approfondire la lettura e accorgersi delle volute inesattezze fà male, e fà ancora più male percepire il lieve sarcasmo usato per raccontare le recenti dipartite di Gabriele e Matteo. Chi scrive tiene subito a precisare che per anni ha frequentato gli stadi, come se bastassero 10 partite nei distinti per capire il fenomeno "ultras" e catalogarlo in archivio con teorie precise e dati di fatto. Ora, potremmo star qui ore nel vano tentativo di cercare di spiegare a chi usa la penna come un coltello che ultras non è violenza, è altro, ultras è aggregazione (per chi non lo sapesse, ne ha salvati più una curva che una comunità!),  ma ci guarderemmo in faccia e lasceremmo stare, perchè chi non è ultras non può capire!

ACAB 23a puntata

UNFORGETTABLE

…ormai assistiamo ad una "replica" stancante: mese dopo mese, su ogni blog, su ogni sito ultras, ci si ritrova a dare libero sfogo alle solite recriminazioni, allo stesso grido di rabbia per questa vicenda, che sembra essere destinata a finire nel dimenticatoio. Istituzioni, classe politica, mass media tutti dietro la barricata del silenzio, dell’ipocrisia, della menzogna, della "convenienza". La convenienza di difendere lo Stato, di giustificare l’ingiustificabile, di occultare l’evidenza, in un difficile, temerario, ma riuscitissimo tentativo meschino di coprire la verità, spazzare sotto il divano o il tappeto la polvere che potrebbe infastidire qualcuno. E così eccoci a "celebrare" il settimo mese senza Gabriele, il settimo mese senza un pizzico di giustizia. E ciò che forse fa preoccupare ulteriormente è proprio il fatto che tutto fa pensare al peggio: la morte di un nostro fratello finirà per essere dimenticata, archiviata, sepolta col suo corpo. Bene fa allora chi, come noi, ha deciso di sposare questa causa e chiede ogni giorno a gran voce "Giustizia per Gabbo" e tutte le vittime innocenti che hanno perso la vita per lo stesso motivo, grazie alla stessa "mano".

Uccico da quella pistola, ucciso da quell’uomo, ucciso dalle bugie della Questura, ucciso dal giornalismo italiano, ucciso dalla tv, ucciso dal calcio. Onorato dai suoi fratelli di curva, onorato da chi vive la sua stessa passione, onorato dai suoi beniamini e dai rivali di sempre, onorato dal ricordo degli ultras di tutta Europa e non solo. Tradito dallo Stato, tradito dalla Giustizia, tradito dalla vita, tradito dal suo destino, tradito dalla fortuna. Amato dalla sua gente, amato da quella Famiglia che per sempre lo terrà nel cuore, amato da chi lassù lo ha accolto nella Curva Paradiso ed insieme a lui canta e batte le mani ogni santa Domenica, amato da Dio che l’ha voluto nella sua Discoteca come DJ Resident per far ballare e divertire anche al di là delle nuvole. Gabriele Sandri, uno di noi, oggi come ieri. Con le lacrime agli occhi…

ACAB 22a puntata

…è tutto così assurdo!


Sei mesi! Sono passati sei mesi da quella maledetta Domenica mattina. Affievoliscono allora le speranze di giustizia, anche nei più ottimisti. C’eravamo affidati a BabboNatale, poi abbiamo sperato in un miracolo della Befana. Ogni tentativo però è andato a vuoto, nemmeno la Santa Pasqua ci ha riservato qualche lieta sorpresa. Sono volate via poi la Festa del Papà, quella della Mamma, prima ancora il San Valentino degli innamorati. Nessuno a Casa Sandri ha potuto brindare, il sorriso e la felicità fanno parte di una vita che s’è spezzata dall’11 Novembre dello scorso anno. Il clima di spensieratezza e la serenità sono vocaboli dimenticati, il vuoto lasciato da Gabriele non sarà mai colmato. La morte rappresenta l’ultimo atto della nostra esistenza terrena, è prevista, va "calcolata" come se fossimo di fronte ad un bilancio preventivo freddo e schematico, ma è ricorrente, appuntamento fisso per ognuno. Morire però per via della follia di un altro essere umano è inconcepibile, ingiustificabile, tremendamente crudele. Ed è ancora più assurdo constatare come possa esserci totale impunità per un assassino in uno Stato dove vige, incontrastata, la disparità di trattamento da cittadino a cittadino, in ambito giudiziario soprattutto. Non è una frase fatta… Gabriele è stato ucciso decine di volte, non solo quella mattinata mentre era diretto a Milano per seguire la sua Lazio. Gabriele è stato massacrato, stuprato, seviziato, il suo ricordo distrutto, picchiato selvaggiamente dall’omertà dei media, dalle bugie delle Forze dell’Ordine, dall’incapacità di garantire Giustizia di una struttura governativa, senza fare distinzioni, che lascia molto a desiderare.


C’è una buona parte d’Italia che però ha deciso di non arrendersi, anzi, ha già dimostrato coi fatti di voler combattere questa battaglia per difendere la memoria di Gabriele e tutte le altre vittime dello Stato. Vittime colpevoli di non aver colpe! Vittime dimenticate dalle tv, dalla carta stampata, da Istituzioni e politicanti. A sei lunghissimi mesi dalla brutale uccisione di un nostro fratello è quindi emozionante riscontrare che, nonostante tutto e nonostante tutti, più di qualcuno abbia preso a cuore la vicenda che vede coinvolta la Famiglia Sandri. Non solo ultras o realtà capitoline, non solo curve di tutta la penisola ed il continente, ma anche calciatori e personaggi pubblici che non hanno avuto alcun timore nello schierarsi da questa parte della barricata per chiedere ancora a gran voce "Giustizia per Gabriele". Nella foto sopra trovate il giocatore del Manfredonia Mineo che ha indossato una eloquente t-shirt per lanciare un messaggio a chi di dovere. Prima ancora ci avevano pensato Evacuo del Frosinone e Fimiani della Lazio a rendere onore a Gabbo. E nel derby romano le emozioni si sono moltiplicate. Il padre di Gabriele, Giorgio, e suo fratello Cristiano hanno seguito la partita nelle curve di un Olimpico che univocamente ha intonato il nome di Gabbo per tutta la serata. Alla fine del primo tempo Giorgio Sandri lascia la Sud, la curva intera lo saluta applaudendo e commuovendosi. Parte ancora più forte il coro "Giustizia per Gabriele"! Nel pre-partita, sulle note di "Meravigliosa creatura", un cuscino di fiori giallorossi viene deposto dai leaders della Sud sotto il telo con l’immagine di Gabbo, un lunghissimo striscione recita "Le lacrime non conoscono colore! Gabbo uno di noi! Curva Sud". Rocchi, Totti e gli altri rendono poi omaggio a nostro fratello visibilmente commossi: è questa la risposta più bella che il calcio potesse dare. Non abbattiamoci. Facciamolo per lui!

ACAB 21a puntata

You’ll never walk alone

Cinque mesi che te ne sei andato, cinque mesi che è tutto così vuoto, cinque mesi che il cuore è a pezzi, cinque mesi che non penso ad altro che a te, cinque mesi che ho tanta voglia di urlare, che ho voglia di giustizia… no, non è possibile Gabriè , non è possibile che quel maledetto sia lì con la sua famiglia, felice e tranquillo… non esistono parole per poter spiegare cosa ha scatenato quell’11 Novembre… sei così vivo dentro di me, vedo i tuoi sorrisi, mi fanno venir voglia di mandare a fanculo tutti… ma perché la vita è così ingiusta? Ti prego spiegamelo tu… perché io non riesco più a vivere in questo brutto mondo, è difficile credere che qualcuno, da lassù ha già deciso tutto per noi, perché non voglio credere che per te sia stato deciso cosi… ti prego, ho voglia di evadere queste regole perpetue, aiutami a farlo… ho voglia di urlare a tutti che questa vita ci toglie sempre la giustizia… e mi batterò fino alla fine per te, anzi non ci sarà mai una fine, la battaglia durerà finché  quell’essere non marcirà nel dolore, e anche dopo tu sarai con noi, perché sei uno di noi, sempre …ho bisogno del tuo aiuto, aprimi gli occhi, aiutami a fare ciò che da sola non posso fare! Ti voglio bene Gabbo, te ne vorrò sempre… un abbraccio ai tuoi familiari, e ai tuoi amici, i tuoi più cari amici… sempre con noi Gabriè…

Il ricordo di Gabriele Sandri stavolta lo affidiamo alle parole profonde di “kiaretta” che ha lasciato sul sito dedicato a Gabbo questo messaggio zeppo di amore. Unirsi al suo sfogo è spontaneo, non una virgola va corretta. Ieri l’InGiustizia italiana ha tagliato il quinto nastro, ormai siamo vicini al dimenticatoio! Passano i giorni inesorabili senza che nessuno osi chiedere allo Stato una vera assunzione di responsabilità. Gabriele non è più tra noi, la sua Famiglia continua a piangerlo e stenta a riprendere la propria esistenza. Difficile andare avanti così, impossibile far finta di nulla. No, stavolta non è proprio il caso di ignorare e sorvolare. “Lo show doveva continuare!” e così è stato, il bel carrozzone ha proseguito sul suo sentiero, passando anche sulla morte di Matteo, e tirerà dritto senza soste. A noi il compito di non permettere a nessuno di cancellare la memoria di Federico, Gabriele, Matteo e gli altri. E ricordate tutti, domani e Lunedì, su ogni scheda, un solo slogan, un solo motto, nessuna “ics”, solo un coro unanime: “Giustizia per Gabriele!”.

ACAB 20a puntata

Ma sì, dai, sorvoliamo…

Il 5 Aprile dello scorso anno, un quotidiano italiano di un certo livello diede spazio a questo articolo. Un pezzo talmente "forte" e intenso da meritare massima attenzione anche a distanza di dodici mesi. Riflessioni e commenti sono a vostra discrezione, noi, per una volta, ci limitiamo alla "cronaca".

Una camionetta della Polizia in retromarcia. Un urto. Poi l’Ispettore si accascia. Dal verbale di un agente forse una nuova verità sulla tragedia di Catania. Il Discovery della Polizia si muove in retromarcia per sfuggire all’inferno di pietre, di fumo e bombe carta scatenato dagli ultras catanesi. Poi ecco un botto improvviso sulla vettura. In quel momento preciso l’Ispettore Filippo Raciti si porta le mani alla testa e si accascia. Due colleghi allora lo adagiano nel sedile posteriore del fuoristrada; l’Ispettore si lamenta dal dolore e non riesce a respirare. Potrebbe essere in questo racconto, nel verbale redatto il 5 Febbraio scorso alla squadra mobile di Catania, la soluzione del "caso Raciti", l’Ispettore di Polizia morto dopo gli scontri con i tifosi durante il derby Catania-Palermo del 2 Febbraio.


A raccontare è l’autista del fuoristrada, l’agente scelto S.L., 46 anni. È lui che ricostruisce dettagliatamente quella giornata di follia: dall’arrivo dei pullman con i tifosi del Palermo sino agli ultimi momenti di Raciti. Il passaggio più importante del verbale va collocato intorno alle 20,30. Più di un’ora dopo il presunto contatto con gli ultras di fronte al cancello della Curva Nord ed a partita appena conclusa, mentre fuori dallo stadio continua la guerriglia. Rivela S.L.: "In quel frangente sono stati lanciati alcuni fumogeni, uno dei quali è caduto sotto la nostra autovettura sprigionando un fumo denso che in breve tempo ha invaso l’abitacolo. Raciti ci ha invitato a scendere dall’auto per farla areare. Il primo a scendere è stato Raciti. Ecco, proprio in quel frangente ho sentito un’esplosione, e sceso anch’io dal mezzo ho chiuso gli sportelli lasciati aperti sia da Balsamo che dallo stesso Raciti ma non mi sono assolutamente avveduto dove loro si trovassero poiché vi era troppo fumo. Quindi, al solo scopo di evitare che l’autovettura potesse prendere fuoco, mentre era in corso un fitto lancio di oggetti e si udivano i boati delle esplosioni, chiudevo gli sportelli e, innescata la retromarcia, ho spostato il Discovery di qualche metro. In quel momento ho sentito una botta sull’autovettura e ho visto Raciti che si trovava alla mia sinistra insieme a Balsamo portarsi le mani alla testa. Ho fermato il mezzo e ho visto un paio di colleghi soccorrere Raciti ed evitare che cadesse per terra". Raciti viene adagiato sul sedile e soccorso da un medico della Polizia.


L’Ispettore muore per la manovra imprudente di un collega alla guida del Discovery? Ad ipotizzarlo, dopo avere letto il verbale, è adesso la difesa dell’unico indagato, il minorenne A.S. arrestato pochi giorni dopo gli scontri, e accusato dell’omicidio. Scrive il medico Giuseppe Caruso, nella consulenza di parte: “Le fratture delle quattro costole dell’Ispettore e le sue lesioni al fegato sono compatibili, direi con abbondante verosimiglianza, con il bordo dello sportello di un fuoristrada o dello spigolo posteriore di un identico autoveicolo".
Si potrebbe ribaltare dunque lo scenario proposto dalla Polizia e dal pm della Procura presso il Tribunale per i minorenni, Angelo Busacca, che accusano il giovane di avere scagliato, con altri, un pezzo di lamiera contro un gruppo di agenti, tra cui Raciti, che tentavano di proteggere i tifosi del Palermo. Un gesto compiuto, come testimoniano le riprese video, tra le 19,04 e le 19,09. La partita giudiziaria ora si gioca sul terreno medico-legale. A sostegno della nuova richiesta di scarcerazione per mancanza di indizi del minorenne gli avvocati Giuseppe Lipera e Grazia Coco hanno depositato la consulenza di Caruso che demolisce le considerazioni del medico-legale del pm, Giuseppe Ragazzi. "La frattura delle costole, a maggior ragione quando le costole fratturate sono diverse", scrive Caruso, "comporta dolori lancinanti e serie difficoltà respiratorie immediate e certo non consentono, a chiunque, lo svolgimento delle più normali attività fisiche". Come ha fatto Raciti, dunque, si chiedono i difensori, a fronteggiare gli ultras catanesi, dalle 19,08 sino alle 20,20, con quattro costole fratturate ed un’emorragia al fegato senza avvertire dolori? La risposta è adesso affidata ad una nuova consulenza medico-legale collegiale, che gli avvocati hanno chiesto al gip Alessandra Chierego, con "esperti di chiara fama, non escludendo l’ipotesi di dovere chiedere la riesumazione del corpo dell’Ispettore". Oltretutto Raciti, dopo le 19,08, ha continuato il suo lavoro senza problemi, come testimonia il suo collega Lazzaro: "Mentre eravamo in macchina non ho sentito Raciti lamentare dolori o malessere". Dopo due mesi di indagini della polizia di Catania ora il caso Raciti è affidato ai carabinieri del Ris di Parma: i risultati della nuova perizia si conosceranno entro un paio di mesi.

ACAB 19a puntata

La bolla di sapone

Attorno alla triste vicenda di Gabriele Sandri è stato costruito un granitico fortino dell’ipocrisia. Da quella maledetta Domenica mattina sono passati già quattro mesi, senza che niente, o quasi, sia cambiato. Quel poco che è mutato rispetto ad allora non rientra certo nella categoria delle migliorie, anzi, e col passare del tempo ad interrogarsi sull’assurda morte di Gabbo si resta in pochi. La sua Famiglia, i suoi amici, i fratelli di curva, i colleghi delle notti capitoline e chi, come noi, vive la sua stessa grande passione. Tanti, perché in ogni stadio d’Italia il suo nome riecheggia, ed allo stesso tempo pochi, pochissimi, se prendiamo in considerazione tutti coloro che in questi mesi hanno strumentalizzato la tragica scomparsa di Gabriele, quelli che hanno usato la sua storia solo per riempire l’ultimo riquadro della decima pagina del quotidiano, quei benpensanti che, nonostante tutto dimostri il contrario, continuano a difendere l’indifendibile e le Istituzioni che con le solite parole preferiscono non prendere posizione e con i fatti tutelano la libertà di un assassino. Un assassino, a tutti gli effetti.

Da corollario a questo contesto già di per sé assai preoccupante le autorità politiche, i partiti stessi, i candidati premier e tutti gli schieramenti. Ci fosse stato uno, uno soltanto, ad aver richiamato i casi di Gabbo Sandri e Federico Aldrovandi come momenti significativi e da non dimenticare quando si parla di scarsa fiducia nelle Istituzioni e “taboo” sicurezza dei cittadini. Ci fosse stato uno, magari mezzo, ad aver chiesto “Giustizia” per tutte le vittime dello Stato. E così passerà anche il quinto mese senza che nessuno paghi il prezzo della propria follia, perché… c’è da votare, c’è da sopportare slogan elettorali più vecchi di Berlusconi&Veltroni stessi, c’è da concentrarsi su come impugnare la matita ed è logico che a qualcuno venga in mente di scrivere “Giustizia per Gabriele” perché il 13 ed il 14 Aprile sarà già passato un altro mese dalla morte di un perfetto sconosciuto. Sarà passata anche la Pasqua, come passano inesorabili i giorni in casa Sandri senza poter più godere di quel sorriso brillante che ha saputo farsi amare da tutti, al di là della pura fede calcistica e delle rivalità. Proprio perché Gabbo era, è e sempre sarà uno di noi!

ACAB 18a puntata

Labirinto di ingiustizia


…anche il terzo mese in archivio, senza alcuna novità sostanziale. I protagonisti sempre lì al loro posto, nessuna traccia di giustizia, nemmeno lontanamente. All’orizzonte però le settimane decisive, come da tempo preannunciato. Un tutore dell’ordine indagato dalla Procura di Arezzo con quell’accusa di omicidio volontario, reato che prevede una pena non inferiore ai ventuno anni di prigionia. Nel frattempo però un Pubblico Ministero dispone una serie di accertamenti tecnici, volti a stabilire l’esatta dinamica del colpo esploso dall’agente. Il termine ultimo, che il PM ha stabilito per il deposito delle perizie, scadrà a fine mese, e la speranza è la stessa da tre lunghi mesi: chi ha ucciso Gabbo deve trascorrere in carcere la giusta pena, senza sconti o favori. Inammissibile pensare che ancora oggi sia a piede libero! Pranza tranquillo…


La strategica disinformazione politica e televisiva ci ha propinato ogni tipo di versione: rissa tra tifosi, colpo accidentale che faceva otto carambole e solo per pura sfortuna colpiva un ragazzo che dormiva in una macchina nella corsia opposta dell’autostrada, agguati e scontri, con coltelli e sassi, poi rinvenuti nell’aiuola dell’autogrill (come quella sacca piena di coltelli spranghe e asce che trovano dentro ad un cespuglio prima di ogni derby da venti anni a questa parte…). Insomma la verità è… che la verità ci viene nascosta come sempre in Italia. Sulla persona che ha sparato senza motivo è calato il silenzio stampa, non esiste il caso, non è mai esistito niente, non si sono fatti decreti straordinari che per assurdo obbligano ogni poliziotto in transito sull’autostrada a presentare al casello: codice fiscale, documento, certificato di residenza, suo e di tutti quelli che ha in macchina, in originale, come accade a noi che andiamo allo stadio in virtù di una tutela inesistente. Il silenzio omertoso accompagna le vicende buie da sempre, ma non è calato il nostro sdegno, per quanto è accaduto, per come si è tentato di infangare la memoria di un ragazzo che non c’è più nel pieno dei suoi  anni, uno come noi che seguiva la sua squadra ed invece ha trovato la morte, inutile, stupida; sdegno ancora più accentuato dall’omertà e le panzane rifilate da chi fa o dovrebbe fare della giustizia e della verità la propria missione istituzionale e di vita.


Nell’Italia dei tanti pesi e delle tante misure viene tutelato l’assassino al posto dell’assassinato; non sono episodi rari se si ricorda, ad esempio, che è stato addirittura premiato chi ha ammazzato investendo ubriaco quattro ragazzini per strada, con soggiorno in un appartamento con vista mare e la possibilità di sbarcare il lunario nell’ambito “pubblicitario”. Non stupisce, quindi, che venga oggi protetto l’assurdo comportamento di una persona che pensa bene di sparare ad altezza d’uomo. Per questa Italia di cacca, “munnezz”, veline e “Costantini”, di “Onorevoli” che bestemmiano e brindano in Parlamento, si insultano e cambiano colore a seconda del vento… vergogna!

ACAB 17a puntata

E Gabriele sparì dalla bocca dei saloni

Non prendetelo però come il solito sfogo dell’ultras rimasto in casa il Sabato sera che per trascorrere qualche ora decide di sputare fango sulla tastiera del suo pc tornando sulla vicenda di Gabbo perchè tutto è tranne che un post di questo genere, garantito. E non consideratelo nemmeno il commento incazzato di un qualsiasi genitore italiano che, preoccupato dal perdurare di una situazione di ingiustizia che ormai rasenta il ridicolo, ha scovato le chiavi d’ingresso per postare un attacco frontale alle Istituzioni… non è nemmeno questo. Quel che proponiamo stavolta è un articolo risalente agli ultimi giorni dello scorso mese di Dicembre, a firma di Antonella Giuli, il quotidiano tocca a voi scoprirlo e comunque non è importante. Non una correzione, non un’esclusione, eccolo. Il pensiero di una giornalista, un mese fa… questo.


Quasi non se ne parla già più. E, tutto sommato, c’è da dire meno male. Dacché ogni giorno, per giorni, s’è fatta una vera e propria corsa all’ultimo “corsivetto” sulle prime pagine dei quotidiani nazionali, adesso niente di niente. Neanche più una brevina a parlare dell’uccisione di quel figlio di Roma e d’Italia che era e resterà Gabriele Sandri, morto ammazzato nel sedile posteriore di un’auto. I primi giorni subito dopo l’omicidio era tutto un susseguirsi di commenti a suon di comunicati stampa ed “elzeviri” griffati. Tutti smaniosi di decifrare chissà cosa e di farlo in nome di uno slancio qualunque. Meglio ancora se cavalcato dall’onda sempreverde dell’analisi del “fenomeno ultras”. Quel fenomeno così facile da attaccare soprattutto se qualificato da aggettivi come “teppisti”, “facinorosi”, all’occorrenza finanche… “terroristi”. Eppure Gabbo tutto era tranne che un ultras teppista, facinoroso e terrorista. Così come non lo sono i quattro amici che viaggiavano con lui in macchina alla volta della trasferta della SS Lazio e che se lo sono visti freddare nei pressi di Arezzo da un colpo di pistola dell’agente della Polstrada Luigi Spaccatorella, trentaduenne di Varese ma con origini consentine. Non lo era, non lo sono, e comunque non è questo il punto. La questione, semmai, è che nel giro di una mattinata abbiamo avuto l’uccisore, ma stavolta non il giusto procedimento giudiziario che si meriterebbe chi decide, sia pure in un improvviso impulso di inspiegata follia, di estrarre una pistola e sparare ad altezza d’uomo nelle circostanze che hanno portato Spaccatorella ad aprire il fuoco sulla Mégan Scénic dei cinque tifosi laziali.

Ecco, che fossero tifosi, in realtà, non doveva fregar nulla a nessuno. E invece niente da fare: via libera ai primissimi commenti facili di chi sceglie la “via” (altrettanto facile) del tiro al bersaglio biancoceleste. Di più: fiato alle trombe e in pompa magna contro gli ultras tout court. Chissenefrega poi se bianconeri, giallorossi o neroblu. Perché ormai, nell’arcobaleno delle tifoserie nostre, i nemici sono loro. Capaci di tutto, si pensa. Addirittura di… unirsi tra di loro, nonostante antiche rivalità, pur di combattere l’avversario in divisa blu e distintivo scintillante. Quello che invece ci fa sentire tutti più protetti quando lo si vede girare di pattuglia a setacciare piazze e vicoli. Meglio ancora quando schierato coi colleghi in tenuta antisommossa di Domenica davanti agli stadi, ormai considerati dai supporters in pantofole teatri di guerriglie urbane a cadenza settimanale. Poco importa se poi… picchiettano sul quadricipite i manganelli (capovolti, perché così fanno più male!) mentre ti scortano in casa o in trasferta, pronti a colpire indistintamente chicchessia pur di evitare una scazzottata tra tifosi e fare così salvo il loro dovere quotidiano. Tutto, ma mai il dialogo, purché si debelli la violenza contigua al calcio. Perfino un colpo mortale di pistola va bene, basta pensare che sia stato esploso per “sedare una rissa tra ultras”. Quelli che, per carità, il giorno stesso della morte di Gabriele hanno impedito a forza di calci sulle vetrate degli stadi lo svolgimento di questa o quella partita di Campionato (ma come mai a bloccarlo non sono state le autorità, le stesse che lo fermarono dopo la morte a Catania dell’Ispettore Filippo Raciti?). quelli che, di conseguenza, a Roma hanno assaltato con sassi e sampietrini la sede del Coni o il Commissariato di Polizia di Ponte Milvio.

Anche la tragedia della morte di Gabbo è stata così strumentalizzata per scatenare i soliti ed inutili luoghi comuni sugli ultras. Quelli che, infine, s’è detto, hanno preoccupato l’intera opinione pubblica in prossimità dei funerali di Gabriele Sandri, tre giorni dopo la sua morte. Per Ministri della Repubblica e giornalisti le esequie sarebbero dovute essere “ad alto rischio tensione e violenza”. Sì, perché quella mattina c’erano proprio tutti i capicurva della peggio gioventù da stadio, confluiti in un’unica piazza a rendere omaggio a Gabbo, uno di loro. E invece, fuori dalla Chiesa San Pio X in Balduina, non si sono verificati incidenti. Né cori, né provocazioni contro le Forze dell’Ordine. Tanta rabbia, questo sì. Ma una rabbia composta, manifestata attraverso continui battimani ultras e ammortizzata dal dolore di una ferita che, sì, probabilmente faticherà a rimarginarsi.

ACAB 16a puntata

La morte è uguale per tutti
10 Gennaio di quindici anni fa

Domani toccherà fermarsi a riflettere perché saranno trascorsi già due mesi senza alcuna parvenza di giustizia per l’uccisione di Gabriele, oggi il ricordo torna indietro di ben quindici anni, a quel maledetto 10 Gennaio del 1993, ultimo giorno di vita per Celestino Colombi. Morto dopo una notte brava? Investito tragicamente? Assolutamente no, colpito da infarto durante una vigorosa carica delle Forze dell’Ordine al termine della partita tra Atalanta e Roma all’esterno dello Stadio di Bergamo. Esemplare avvenimento che già all’epoca apriva gli occhi sulla repressione che colpiva, colpisce e sempre colpirà gli ultras, ma non solo gli ultras. Visto che Celestino si trovava casualmente nei dintorni dello stadio e proprio il ritrovarsi in mezzo a furibonde cariche della Celere ha causato la sua scomparsa, a soli quarantadue anni. Va detto che non mancò nemmeno in quell’occasione la squallida strategia mediatica e governativa per nascondere la verità, proprio per questo motivo meritano menzione i coraggiosi tifosi bergamaschi che, grazie ad una forte azione di controinformazione, denunciarono subito l’accaduto puntando fin dal primo momento il dito contro le selvagge e sconsiderate cariche degli agenti.

La solidarietà dell’intero panorama ultras italiano caratterizzò le settimane successive a quel tragico 10 Gennaio, tutte le curve si riunirono dietro un unico striscione: “10-01-93, la morte è uguale per tutti!” esposto contemporaneamente in centinaia di stadi in tutta la penisola. Si tratta di una data indimenticabile per gli ultras di Bergamo ed ogni anno, nella partita più vicina alla data di quel maledetto giorno, viene ricordato dalla Curva Nord quello che effettivamente successe in quella Domenica, tramite volantini, manifesti, striscioni, minuti di silenzio e poi cori, tanti cori per Celestino e le altre vittime dello Stato. “Quel giorno, a partita ormai conclusa, con i romani già lontani dallo stadio, partì una carica improvvisa e feroce degli sbirri verso i ragazzi che stazionavano sull’edicola nella zona sud, luogo di ritrovo degli ultras. Celestino con la curva non c’entrava niente, non era un ultras, sfortuna volle che si trovò a passare lì in quei momenti senza nemmeno sapere probabilmente il motivo di tanta presenza delle FdO. Il Reparto Celere travolse la folla, Celestino cadde a terra e morì di crepacuore nel giro di pochi secondi, vi rendete conto?”.

Il fatto non trovò vasta eco sui mezzi di informazione, che, anzi, parlarono genericamente della morte di un "tossicodipendente" che "quattro giorni prima era uscito dal carcere dov’era finito per tentato furto". Testimonianze di numerosi tifosi refertati e dei gestori di alcuni bar e chioschi nelle vicinanze della Curva indicarono come responsabile dell’attacco ingiustificato il Reparto di Padova. Nonostante l’indagine stessa abbia accertato l’estraneità di Celestino Colombi a qualsiasi episodio di violenza, nessuna responsabilità per la sua morte verrà “accertata” e la Questura si limiterà ad informare i giornali della tossicodipendenza del deceduto, infangandone così una seconda volta l’esistenza e uccidendolo ancora. Questo post, oltre a voler ricordare questo triste avvenimento per onorare la memoria di Celestino, rappresenta stasera un messaggio di solidarietà a chi, a poche decine di km da Fondi, ieri ha trascorso una delle giornate più buie della propria vita, fermato, offeso, minacciato e picchiato dallo Stato senza alcun motivo… un forte abbraccio, Ciccio. Combatti!