E Gabriele sparì dalla bocca dei saloni
Non prendetelo però come il solito sfogo dell’ultras rimasto in casa il Sabato sera che per trascorrere qualche ora decide di sputare fango sulla tastiera del suo pc tornando sulla vicenda di Gabbo perchè tutto è tranne che un post di questo genere, garantito. E non consideratelo nemmeno il commento incazzato di un qualsiasi genitore italiano che, preoccupato dal perdurare di una situazione di ingiustizia che ormai rasenta il ridicolo, ha scovato le chiavi d’ingresso per postare un attacco frontale alle Istituzioni… non è nemmeno questo. Quel che proponiamo stavolta è un articolo risalente agli ultimi giorni dello scorso mese di Dicembre, a firma di Antonella Giuli, il quotidiano tocca a voi scoprirlo e comunque non è importante. Non una correzione, non un’esclusione, eccolo. Il pensiero di una giornalista, un mese fa… questo.
Quasi non se ne parla già più. E, tutto sommato, c’è da dire meno male. Dacché ogni giorno, per giorni, s’è fatta una vera e propria corsa all’ultimo “corsivetto” sulle prime pagine dei quotidiani nazionali, adesso niente di niente. Neanche più una brevina a parlare dell’uccisione di quel figlio di Roma e d’Italia che era e resterà Gabriele Sandri, morto ammazzato nel sedile posteriore di un’auto. I primi giorni subito dopo l’omicidio era tutto un susseguirsi di commenti a suon di comunicati stampa ed “elzeviri” griffati. Tutti smaniosi di decifrare chissà cosa e di farlo in nome di uno slancio qualunque. Meglio ancora se cavalcato dall’onda sempreverde dell’analisi del “fenomeno ultras”. Quel fenomeno così facile da attaccare soprattutto se qualificato da aggettivi come “teppisti”, “facinorosi”, all’occorrenza finanche… “terroristi”. Eppure Gabbo tutto era tranne che un ultras teppista, facinoroso e terrorista. Così come non lo sono i quattro amici che viaggiavano con lui in macchina alla volta della trasferta della SS Lazio e che se lo sono visti freddare nei pressi di Arezzo da un colpo di pistola dell’agente della Polstrada Luigi Spaccatorella, trentaduenne di Varese ma con origini consentine. Non lo era, non lo sono, e comunque non è questo il punto. La questione, semmai, è che nel giro di una mattinata abbiamo avuto l’uccisore, ma stavolta non il giusto procedimento giudiziario che si meriterebbe chi decide, sia pure in un improvviso impulso di inspiegata follia, di estrarre una pistola e sparare ad altezza d’uomo nelle circostanze che hanno portato Spaccatorella ad aprire il fuoco sulla Mégan Scénic dei cinque tifosi laziali.
Ecco, che fossero tifosi, in realtà, non doveva fregar nulla a nessuno. E invece niente da fare: via libera ai primissimi commenti facili di chi sceglie la “via” (altrettanto facile) del tiro al bersaglio biancoceleste. Di più: fiato alle trombe e in pompa magna contro gli ultras tout court. Chissenefrega poi se bianconeri, giallorossi o neroblu. Perché ormai, nell’arcobaleno delle tifoserie nostre, i nemici sono loro. Capaci di tutto, si pensa. Addirittura di… unirsi tra di loro, nonostante antiche rivalità, pur di combattere l’avversario in divisa blu e distintivo scintillante. Quello che invece ci fa sentire tutti più protetti quando lo si vede girare di pattuglia a setacciare piazze e vicoli. Meglio ancora quando schierato coi colleghi in tenuta antisommossa di Domenica davanti agli stadi, ormai considerati dai supporters in pantofole teatri di guerriglie urbane a cadenza settimanale. Poco importa se poi… picchiettano sul quadricipite i manganelli (capovolti, perché così fanno più male!) mentre ti scortano in casa o in trasferta, pronti a colpire indistintamente chicchessia pur di evitare una scazzottata tra tifosi e fare così salvo il loro dovere quotidiano. Tutto, ma mai il dialogo, purché si debelli la violenza contigua al calcio. Perfino un colpo mortale di pistola va bene, basta pensare che sia stato esploso per “sedare una rissa tra ultras”. Quelli che, per carità, il giorno stesso della morte di Gabriele hanno impedito a forza di calci sulle vetrate degli stadi lo svolgimento di questa o quella partita di Campionato (ma come mai a bloccarlo non sono state le autorità, le stesse che lo fermarono dopo la morte a Catania dell’Ispettore Filippo Raciti?). quelli che, di conseguenza, a Roma hanno assaltato con sassi e sampietrini la sede del Coni o il Commissariato di Polizia di Ponte Milvio.
Anche la tragedia della morte di Gabbo è stata così strumentalizzata per scatenare i soliti ed inutili luoghi comuni sugli ultras. Quelli che, infine, s’è detto, hanno preoccupato l’intera opinione pubblica in prossimità dei funerali di Gabriele Sandri, tre giorni dopo la sua morte. Per Ministri della Repubblica e giornalisti le esequie sarebbero dovute essere “ad alto rischio tensione e violenza”. Sì, perché quella mattina c’erano proprio tutti i capicurva della peggio gioventù da stadio, confluiti in un’unica piazza a rendere omaggio a Gabbo, uno di loro. E invece, fuori dalla Chiesa San Pio X in Balduina, non si sono verificati incidenti. Né cori, né provocazioni contro le Forze dell’Ordine. Tanta rabbia, questo sì. Ma una rabbia composta, manifestata attraverso continui battimani ultras e ammortizzata dal dolore di una ferita che, sì, probabilmente faticherà a rimarginarsi.