ACAB 14a puntata

Come volevasi dimostrare


E’ accaduto! E’ accaduto ciò che Stelvio Massi aveva preannunciato nel 1975, ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato, almeno tra le fila dei "benpensanti". Questa volta però è accaduto davvero, non è la trama di una sceneggiatura, non un ipotetico scenario, ma realtà, la cruda realtà, celata, nascosta, occultata, ma pur sempre realtà. Il colpevole ha un nome ed un cognome, eppure sembra non averli, sembra che ancora tutto sia da scoprire, con i media così alla spasmodica ricerca di una news che possa distogliere l’attenzione dal fatto ed i quotidiani pronti al solito teatrino post-domenicale. C’è il fatto, il morto ed anche il colpevole, per molti non c’è nulla, per noi c’è anche il movente. Forse inutile ripetere e ricordare l’avvenimento, a quest’ora solo gli stolti fanno finta di non sapere. Si svia, si mormora, si sussurra, si ipotizza e come accade sempre in questi casi, si usa il condizionale. Il condizionale che nei primi giorni dello scorso Febbraio non è stato mai utilizzato. Sarebbe stato colpito…, avrebbe sparato…, sarebbe partito inavvertitamente… Inutile rimanere allibiti, inutile essere esterefatti, si sà, questo è il loro modus operandi, come direbbe il più celebre dei criminologi. Hanno sempre agito così e continueranno a farlo, coperti dal Potere, difesi dalla Giustizia e armati dallo Stato. Si attende poi una reazione, che non tarda ad arrivare. Sì, fulminea, univoca, incontrollabile ed incontrastabile. Gli attori sono ormai esausti, sono stufi di essere le vittime predestinate, vivono ormai di abusi. Nessuno si domanda il perchè, nessuno si interroga, si preferisce puntare il dito, criminalizzare l’unica parte pulita, quella che nel bene e nel male è sempre lì sui gradoni o nelle strade, nelle piazze o nei settori. Si chiedono maggiori interventi, si auspicano miglioramenti delle strutture, si fà quasi campagna elettorale, ma non si piange un morto. Troppo uno qualunque per essere ricordato, troppo schierato per fermare il calcio! Già, quello sport nazionale che ormai viaggia via etere fino all’altra parte del Mondo e che subisce spostamenti magari perchè il monarca di un imprecisato stato africano, magnate appassionato di calcio e sponsor nel nostro Belpaese, a quell’ora è al bagno e quindi non può gustarsi gli avvenimenti in diretta, ma che continua invece imperterrito come avvenuto domenica. A Bergamo e a Taranto il popolo con la sciarpa al collo ha dimostrato di valere, lo ha fatto senza indugiare, riuscendo comunque a fermare la farsa dei potenti, che senza pudore hanno pensato prima ad intascare l’incasso, per poi andare in tv a criminalizzare la loro fonte di guadagno. Ci si indigna, ci si scandalizza, si grida al lupo, spostando l’interesse su tutt’altra cosa, da sempre, cercando di occultare l’inoccultabile, di giustificare l’ingiustificabile!


11 pensieri su “ACAB 14a puntata

  1. C’è anche chi il condizionale non lo sa usare, come Ignazio La Russa l’altra sera a “Matrix”: “Se avrebbero…” e poi questi che non sanno nemmeno parlare in italiano, si permettono di poter decidere del nostro futuro.

    Mandateven’affanculo!

  2. Quelli che siamo…

    Disoccupati sì, ma anche precari, professionisti, avvocati, ingegneri, imprenditori, impiegati, operai, autisti, panettieri, e MOLTISSIMI studenti universitari, a dispetto di quel giornalista di Repubblica, grande esperto di tifo organizzato, che, nel corso di uno Speciale TG1, ha dichiarato: “…ma non credo che tra di loro ci sia gente che ha studiato”.

    Povero imbecille! Poverissimi, piccoli borghesi, benestanti, qualcuno ha anche origini nobili, figli di papà, contrariamente con chi afferma che sono solo il frutto del degrado e dell’indigenza. Ridicoli presuntuosi opinionisti! Roma, Milano, Napoli, Torino, ma anche Bergamo, Treviso, Padova, Salerno, Taranto, dalle metropoli alla piccola città di provincia: 100, 1.000, 20.000, 50.000 e forse anche di più. Ma non erano solo una sparuta, ridicola minoranza?

    Chi non esce mai di casa, chi fa tanto sport, chi va in discoteca, chi non ha mai una donna e chi non sa più come tenerle a bada, chi legge i filosofi contemporanei e chi a malapena conosce la lingua italiana, belli come il sole o brutti come la fame, chi è sempre incazzato e chi c’ha una vena comica che fa invidia a Zelig, solitari e trascinatori, pacati e mansueti o violenti da non poterli guardare negli occhi. Emarginati? Sì, senza dubbio, emarginati come tutto il resto della gente o meglio estraniati da un contesto dove il sistema intero “se la canta e se la sona”. L’alta finanza, le banche, la politica, il mondo dello spettacolo, tutti sul carrozzone. Eccoli lì, conduttrici puttane, cocainomani, osservatori, opinionisti, conduttori pervertiti, nani e ballerine, a strombazzare sguaiati la loro inutile, inspiegabile e lautamente remunerata presenza in questo mondo… alla faccia del resto della gente che non se la gode come loro.

    Ebbene sì quei ragazzi, sono estranei, sono emarginati da tutto questo, anzi lo rifiutano, lo contestano apertamente. Odiano, sì odiano e disprezzano tutto questo, lo combattono e, quando possono …lo abbattono. E’ per questo che a loro volta sono odiati e disprezzati dal carrozzone, perché non vogliono saltarci su, stanno bene in una curva tutti insieme a cantare, in una macchina che macina chilometri a parlare, in un pub a ridere e scherzare o per la strada uno accanto all’altro affinché nessuno possa passare. Compatti eppure diversi tra loro. Non è vero, caro ennesimo emerito giornalista benpensante che hai dichiarato che “sono loro la vera casta pericolosa”.

    Non siamo una casta, siamo i tuoi quartieri, la tua città, l’espressione del tuo popolo… quello duro… quello di cui tu, occupante a pagamento del carrozzone, fai bene ad essere preoccupato.

    GIUSTIZIA PER GABRIELE!

    CURVA SUD PER MILLE ANNI!

    (tratto da http://www.asromaultras.org)

  3. UN GIORNO DI STRAORDINARIA FOLLIA

    Scrivere a botta calda è difficile e rischioso, ma la tragicità di un evento come la morte di Gabriele Sandri non solo non lascia spazio a temporeggiamenti, ma obbliga a prendere una posizione, di certo coerente con i pensieri di sempre e dunque distante dai pensieri dominanti. Domenica 11 novembre è stata una giornata dura e dolorosa, ed il delittuoso avvenimento nell’area di servizio della A1 ne è solo una parte. Ma andiamo con ordine.

    La notizia arriva via telefono verso mezzogiorno, improvvisa e perfida come un montante in pieno volto. Subito cerco conferme e dettagli in tv, dove intanto prende corpo il più classico teatrino mediatico e si recita un copione già visto e rivisto: nel leggere i lanci di agenzia la morte del giovane tifoso laziale viene inserita nel quadro di scontri tra opposte tifoserie, pur essendo stato raggiunto da un colpo di pistola. Che sul posto sia intervenuta la Polizia per tentare di sedare una presunta rissa è un particolare, a questo punto, ovvio quanto determinante. Scrivo a distanza di quarantotto ore e nel frattempo è emerso il “dettaglio” che, per certo, un agente ha sparato, a rissa già conclusa, dall’opposta corsia dell’autostrada: roba da poliziesco americano di quarta serie. Come sempre in questi casi le autorità hanno dato conto di colpi sparati in aria a scopo dissuasivo, ma la verità è che un proiettile ha centrato un bersaglio che stava coi piedi ben saldi a terra e che alla rissa forse nemmeno aveva preso parte. Un testimone delle ultime ore afferma di avere visto il poliziotto sparare a due mani, nella tipica posizione da poligono da tiro, mentre dalle dichiarazioni di altri agenti sembra ci fosse la piena consapevolezza che i protagonisti del diverbio fossero dei tifosi. Mi si rivolta lo stomaco: il dolore e la rabbia, nonché le improbabili ricostruzioni che i questurini di turno hanno tentato di farci bere, sono gli stessi che ho vissuto alla morte di un altro fratello, Carlo Giuliani.

    Quel poco di sensatezza che sopravvive all’inesorabile coinvolgimento emotivo, da ultras e con gli ultras, mi fa pensare per un attimo che l’assurda gravità di quanto è accaduto travalica e precede, ma forse il condizionale è preferibile, qualsivoglia successivo collegamento calcistico: in un paese civile e democratico gli sceriffi non possono avere cittadinanza ed un fatto del genere dovrebbe (il condizionale, appunto) fare insorgere l’intera opinione pubblica e, perché no, la stessa casta politica. Ma siamo nel Paese delle emergenze e del garantismo a senso unico, pretendere un po’ di buon senso appare del tutto fuori luogo. Infatti, sin dalle prime tribune televisive, gira e rigira si finisce sempre a parlare della violenza ultrà, degli incappucciati da stadio, delle trasferte da vietare tout-court come sublimazione totale di tutti i decreti e di tutti i divieti.

    Già, perché la morte di Gabriele innesca sì un processo, ma i principali imputati, anche stavolta, sono gli ultras, nella fattispecie quegli ultras che hanno dato sfogo alla loro rabbia: al di là dei fatti accaduti a Roma nella sera di domenica, dai quali mi dissocio perché frutto di dinamiche da rileggersi in chiave prettamente extracalcistica, sono bastate due vetrate mandate in frantumi e quattro schiaffoni qui e là per oscurare la tragedia di un ragazzo (un tifoso, ma poteva essere un padre di famiglia in gita domenicale) ucciso senza motivo.

    Appena otto mesi dopo la morte dell’Ispettore Raciti, sulla cui vera ricostruzione continua a persistere un mistero impenetrabile, gli ultrà tornano loro malgrado ad essere in cima ai problemi di un intero Paese, oscurando ogni altra questione: morti sul lavoro, criminalità organizzata, immigrazione clandestina, corruzione, persino i lavavetri di Firenze avranno qualche giorno di tranquillità. Per il mondo del tifo organizzato la sentenza è già stata scritta ed è pronta la ricetta di sempre: repressione e divieti, divieti e repressione…

    Il tutto, naturalmente, senza diritto ad alcun contraddittorio, ci mancherebbe altro, ma anche senza cercare di capire cosa può essere passato per la mente e per il cuore di migliaia di ragazzi che, in una mite domenica d’autunno, si sono sentiti dei “dead men walking” e che hanno pensato, anche solo per un attimo, che Gabriele potevano essere loro, che così non si può andare avanti, che c’è un limite a tutto. Passi il vergognoso silenzio che da sempre si portano con se’ le morti di Stefano Furlan, di Celestino Colombi, di Fabio Di Maio, di Sergio Ercolano. Passi il sistematico insabbiamento delle pistolettate ad Empoli-Vicenza del 1992 e delle vicende Alessandro Spoletini (2001) e di Paolo di Brescia (2005). Passino gli assurdi divieti del decreto Melandri-Amato, i Daspo e le denunce a tradimento, passino persino i pestaggi gratuiti dei blu, ma morire a 28 anni in questo modo non poteva che scatenare una reazione forte… O qualcuno pensava forse che certe cose si possano esprimere con dei comunicati stampa o con uno sciopero della fame? Qualcuno può spiegarmi perché se un agente di pubblica sicurezza, piuttosto che un Ministro od un altro soggetto “upper class”, compie un reato la responsabilità (semmai verrà accertata) è sempre individuale, mentre se il colpevole è un ultras si sputano sentenze sommarie e si criminalizza un intero mondo fatto di centinaia di migliaia di giovani? Qualcuno può dirmi cosa sta succedendo alle Forze dell’Ordine italiane, negli ultimi anni protagoniste di svariati episodi poco limpidi (l’eufemismo è d’obbligo…): dal G8 di Genova al caso di Federico Aldrovandi, dalla mattanza di Roma-Manchester fino alla recentissima morte di un falegname 54enne nel carcere di Perugia?

    Eppoi, fuor di retorica, di buonismo e di politically correct, ci dicano i nostri politici di mezza età come reagivano negli anni Settanta quando queste cose capitavano (eccome se capitavano!) ad un loro compagno o ad un loro camerata… La mia maledetta domenica la vivo proprio a Bergamo, per Atalanta-Milan, dove va in scena il meglio (o il peggio, vedete voi…) della rabbia ultrà. Da queste parti la solidarietà ultras ha radici lontane e quando la tragica notizia si diffonde la rabbia monta, inevitabilmente, contro il primo nemico, così all’ora dell’aperitivo un gruppo di cellulari viene fatto sloggiare, manu militari, dall’avamposto vicino alla Nord. Pim-pum-pam: oggi non è aria per voi, sparite dalla circolazione. Ma la vera sorpresa giunge poco più tardi, cioè quando arrivano gli ospiti. Mai avrei pensato di vedere le due fazioni, nemiche di lunghissima data, mischiarsi e partire, insieme, contro le divise blu. Anche questo la dice lunga sullo stato d’animo che alberga nei cuori ultras, un’esasperazione cresciuta negli anni che certo non giustifica, ma spiega certo sì, certi atteggiamenti. Dopo i preliminari di rito parte una carica senza se e senza ma, le Fdo sono costrette a sparare lacrimogeni e tuttavia devono ripiegare pesantemente. La situazione si calma ma è tutt’altro che normale, ed anche dentro lo stadio l’atmosfera è pesante. Lo splendido colpo d’occhio di un Brumana da tutto esaurito fa a pugni con una tensione che si taglia a fette: gli ultras dell’una e dell’altra parte chiedono di sospendere la partita, mentre il coro “Assassini-assassini” rimbomba più volte dalle due curve. Dopo la reazione di pancia, sbagliata come forse lo sono tutte le reazioni di pancia, gli ultras ora chiedono un segnale di rispetto, un gesto di buon senso ancora prima che simbolico: fermiamo il carrozzone del calcio, riflettiamo su quello che è successo senza pregiudizi e senza reticenze, cerchiamo di capire cosa non sta funzionando e cosa non ha funzionato in questo turbine di tolleranza zero.

    Anche nei palazzi del potere si è appena discusso se giocare oppure no, ma se dal mondo sportivo sembrava aprirsi uno spiraglio, quello politico ed istituzionale hanno chiuso subito la porta a doppia mandata: i giornali del lunedì, in particolare, riferiscono di un vero e proprio diktat del capo della Polizia Manganelli, contrario ad ogni possibile paragone con lo stop decretato alla morte di Raciti. A sua volta il Ministro degli Interni Amato avalla tale decisione e spiega che in questo modo si sono evitati ulteriori disordini, ma se una cosa del genere poteva forse giustificare la disputa di una finale di Coppa Campioni preceduta da 39 morti, questa volta appare come una posizione preconcetta, ed infatti larga parte del mondo politico, senza vincoli di maggioranze, criticherà tale decisione… A Bergamo come altrove, eccezion fatta per Inter-Lazio, la partita dunque si gioca, pur cominciando con 10 minuti di ritardo e con il lutto al braccio dei giocatori. Gli ultras non si rassegnano alla logica dello spettacolo che deve continuare: ai cori si aggiunge qualche torcia che piove in campo dalla Nord, ma il match inizialmente va avanti. I bergamaschi optano allora per la linea dura e cominciano ad infierire contro una vetrata che dà accesso al campo, fintanto che la stessa non dà segni di cedimento. Il resto è storia nota: i giocatori che si avvicinano alla curva, la discussione coi tifosi, la sospensione della partita, i processi mediatici, gli arresti, le istituzioni e la stessa Atalanta Bergamasca Calcio che annunciano di costituirsi parte civile.

    (…continua)

  4. Pensatela come volete, ma tra tutte le cose che si potrebbero dire a proposito di un tombino usato a mo’ di ariete, io dico che i ragazzi della Nord hanno dovuto ricorrere all’unica opzione che avevano per essere presi sul serio, e la morte di Gabriele era una cosa maledettamente seria per non tentare il tutto e per tutto. Dico di più: come fecero i genoani quando morì Spagna, anche domenica scorsa gli ultras avevano il diritto di pretendere la sospensione della partita ed il dovere morale di imporre a tutto il mondo del calcio una profonda riflessione su quanto accaduto. Chiamatelo forse anche diritto al rancore, ma è un rancore che non nasce dal nulla…

    State pur certi che decine, forse centinaia di ragazzi pagheranno un conto salatissimo per la loro azione, a Bergamo, come a Taranto, come altrove. State altrettanto certi che per loro non sarà contemplata nessuna presunzione di innocenza fino al processo, nessuna attenuante, nessuno sconto di pena: ne va dell’immagine di uno Stato incapace di garantire l’ordine pubblico, se non vietando, proibendo e, spiace dirlo, mostrando tanti muscoli e poco cervello, soprattutto se si tratta di perseguire il ladro di polli e non il pappone o il bancarottiere di turno.

    Ma ha ancora un senso argomentare su tutto questo? Si dice che la morte non ha colori ed è uguale per tutti, ma non è vero. Non lo pensa lo Stato, impegnato soprattutto a minimizzare il vero fatto scandaloso della giornata; non lo pensano le Istituzioni sportive, che sospendono i campionati in una domenica in cui la serie A già era ferma; non lo pensa il tifoso comune, soprattutto quello che allo stadio ci va solo, appunto, per un Atalanta-Milan e le altre 37 partite le guarda in poltrona. Già, perché al dolore per la morte di un fratello, nell’imbrunire di questa maledetta domenica si palesa uno stadio che non solo non appoggia, ma addirittura insorge contro le due fazioni ultras, irridendole con cori offensivi e, di fatto, isolandole come tanti buoni predicatori da anni chiedevano si facesse. Mi gioco la testa che questi “tifosi modello” erano già pronti a spellarsi le mani per un ringhio di Gattuso o una punizione da Pirlo, erano pronti a festeggiare il goal dell’una o dell’altra squadra, forse anche a lanciare la classica bottiglietta d’acqua contro il guardialinee venduto…

    Preferisco stare con chi ha forse esagerato ma lo ha fatto per un motivo serio, ma quando, dentro e fuori il Brumana, ultras atalantini e rossoneri si mescolano ed alzano gli ultimi cori insieme, mi sfiora un brivido: e se fosse il canto del cigno?! Sappiamo che sarà sempre più dura andare avanti, ma abbiamo un motivo in più per stringere i denti e non mollare… ciao Gabriele.

    (lo staff di “SportPeople” – 14.11.07)

  5. Dalle menti “illuninate” che sentenziano dai teatrini in tv, ai politicanti che scaldano le poltrone di montecitorio, ai padroni del pallone figli di calciopoli e fautori del calciofarsa il messaggio è stato chiaro: il calcio è una merda, chi osa dire che puzza verrà sterminato!

  6. E dopo la morte di Gabriele Sandri?

    Dal tentativo di nascondere i fatti, alla diffusione di notizie contradditorie, dalla farsa del campionato sospeso, alla solita strategia di sbattere l’ultras in prima pagina per distogliere l’attenzione dalla realtà. Si ferma il campionato di B e C non perchè un agente ha ucciso un tifoso, ma per la violenza degli ultras. Nessun passo indietro per riconoscere i propri errori e le proprie responsabiltà, ma si vietano le trasferte. Dalle prime reazioni, insomma, sembra che ancora una volta i politici non risolveranno i problemi del calcio, ma fomenteranno ulteriormente il clima teso. Il messaggio è sempre lo stesso: il calcio è un businees e va difeso tra leggi antidemocratiche e incostituzionali; il tifoso deve rimanere un semplice consumatore senza dignità nè diritti; la repressione continuerà a riguardare solo tifosi e ultras e molto meno altri che hanno fatto più danni come i Spaccarotella, Moggi, Della Valle, Carraro e simili.

  7. Lettera di Paolo Di Canio a Gabbo:

    «Ciao Gabriele, io ho scelto il silenzio per ricordare il tuo sorriso: che dolore!»

    Dobbiamo il massimo ri­spetto ai giovani. Lo di­ceva il poeta Giovenale.

    Quel rispetto che i giovani non avvertono più, non rice­vono più da tempo, e che de­siderano, che anelano, for­temente; di cui ne sentono il profondo bisogno. Io ho vis­suto e vivo tutt’ora con i gio­vani, mi confronto con loro,

    cerco di comprendere le ra­gioni del loro disagio socia­le.

    Sono ragazzi sensibili, fragili, generosi, che spesso si prodigano per aiutare il prossimo, che lottano per ri­tagliarsi un futuro sereno, che sognano un mondo lea­le, giusto, trasparente, sicu­ro, uguale per tutti. Quegli stessi ragazzi che animati dalla passione sfrenata per il calcio

    la domenica, ali­mentano la loro fede soste­nendo i colori della propria squadra, dei propri idoli.

    Perché loro hanno bisogno di esempi posi­tivi, di chi li sostenga nel percorso della loro crescita umana, sociale e poi profes­sionale. Sono i figli di una grande fami­glia, lo Stato che dovrebbe costruirgli at­torno

    le cer­tezze e le spe­ranze del do­mani, perché loro rappre­sentano il no­stro domani.

    E invece trop­po spesso proprio chi do­vrebbe aiutarli, inserirli nella società contempora­nea, supportarli nei loro progetti sociali li abbando­na

    in un indifferenza che determina il peggiore dei mali del terzo millennio. Ho visto negli occhi addolorati di tanti ragazzi che saluta­vano per l‘ultima volta Ga­briele la sofferenza e la la­cerazione di chi non sa dar­si una

    plausibile spiegazio­ne ad una tragedia inaccet­tabile, incomprensibile, as- surda. Perché non c’è mai una ragione che possa alle­viare il dolore per una gio­vane vita che viene spezza­ta a soli 28 anni, perché non ci sono risposte a domande che resteranno tali per l’eternità, e si perderanno nell’oblio dell’irreale. Sto provando lo stesso dolore

    anche io in questi momenti di profonda commozione e di grande smarrimento, perché mi sento uno di loro, perché come

    loro capisco le difficoltà che vivono e per­ché come Gabriele so quan­ta sensibilità e quanta vo­glia di vivere c’è

    in ciascuno di loro.

    Quantà bontà, quanta ric­chezza interiore. Ho visto bambini piangere, guardare con gli occhi spauriti un orizzonte

    che non c’è, cer­care disperatamente un ba­gliore di luce che oggi ha la­sciato lo spazio al buio, alle inquietanti

    tenebre della paura e della disperazione. E’ a loro che dobbiamo ri­porre la nostra fiducia, in loro dobbiamo cre­dere,

    portare il nostro rispetto e stringerci per far si che si possa tornare a vivere le gioie quotidiane di una vita vera.

    Quelle stesse sensazioni e speranze che proprio ieri mia figlia Lu­dovica, appena quindicenne, abbracciando­mi in lacrime,

    mi implorava che accadesse. Mi ha fatto leggere le parole scritte dal suo cuore perché non aveva più parole da proferire…

    Perchè tutti i giovani, i suoi coetanei, possano credere e lottare per impegnarsi a modificare il corso della vi­ta e delle

    generazioni che verranno. Ma in questo per­corso non dovranno essere soli. Mai! E come scritto in questa poesia che non

    deb­bano mai più interrorgarsi sul perché di un click, di un bang, di uno sparo!

    Ciao Gabriele, sai ognuno nella vita vive il dolore a proprio modo.

    Io ho scelto il silenzio della riflessione, per ricordare Uno splendido ragazzo come Te.

    Non ci siamo mai conosciuti ma, attraverso il racconto di tanta gente che ti amava e di ciò che hai trasmesso ai giovani

    con le tue passioni, ho imparato a volerti bene, proprio come un caro vecchio amico.

    D’altronde bastava guardare il tuo sorriso, la profondità del tuo sguardo, per capire che persona eri.

    Di solito i grandi artisti fanno gioire, appassionare in vita, cosi come disperare quando vengono a mancare.

    Tu sei riuscito in tutto questo con la semplicità del ragazzo perbene , parte fondamentale di una famiglia dai grandi valori.

    E dalla dignità esemplare.

    Per questo ci lasci un dolore immenso!

    Che hai combinato Gabriè… Paolo Di Canio

  8. Perchè in fondo,prima di ammazzare un tifoso,hanno ammazzato un cittadino.E dato che non siamo in Colombia e nemmeno in Pakistan,prima di sparare sulla folla,senza una motivazione plausibile e concreta,un agente dovrebbe contare almeno fino a tre(mila).Perchè se così fosse,voglio dire se fosse permesso,allora la polizia dovrebbe sparare ad ogni piccolo sussulto.Anche su una finta scazzottata.E dovrebbe sparare ogni domenica,in ogni stadio d’Italia,per ogni accenno di tafferuglio.Perchè non siamo a Bogotà e nemmeno a Islamabad.E dunque tutto questo dovrebbe far riflettere le istituzioni.Perchè siamo una democrazia affermata,no?.Perchè i parlamentari dall’occhialino,da messa in piega,da scarpe lucide,tailleur e cravatta sembrano sfuggire volontariamente alcuni passaggi fondamentali che sono alla base dell’odio e del risentimento verso la polizia che incarna lo Stato come ordine precostituito.Perchè ad uccidere Raciti(e i Ris lo hanno confermato)è stata la polizia,vale a dire lo Stato stesso.Negando l’evidenza e buttando polvere negli occhi alla stupida opinione pubblica,Raciti è stato ammazzato due volte.Ma a pagare siamo stati tutti noi,con la soppressione di una libertà forse tanto stupida quanto pregnante.La libertà di poter comunicare,esporre un pensiero,lo striscione del gruppo,una bandiera innocua .Il risentimento è cresciuto a vista d’occhio e represso senza un valido motivo.Perchè ad essere ammazzato è stato un cittadino,un tifoso,forse un ultras che non aveva e non ha avuto peso nello Stato che dice di difendere e tutelare i diritti e le libertà di ognuno di noi.Un puntino per cui non si è ritenuto opportuno sospendere nessuna partita.Perchè sei ore non sono bastate a fare corretta informazione.Perchè lo Stato ha tentato maldestramente di insabbiare e rimandare una verità scomodissima con la complicità dolosa o colposa dei giornalisti.Perchè ancora una volta le curve si sono sentite tradite e malmenate dalle istituzioni.Perchè forse,l’obiettivo era quello di non bloccare i campionati e scatenare volontariamente il risentimento di domenica pomeriggio a Bergamo e di domenica sera a Roma,e confermare,successivamente,tutte le convinzioni radicate sul conto delle tifoserie:violente,distruttive e terroristiche.Perchè,si,siamo dei terroristi.Perchè ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.In Italia,dove si cerca sempre la scorciatoia più comoda,la repressione è sempre stata preferita al dialogo e alla ricerca delle ragioni che sono alla base dei fatti violenti.Le curve sono state criminalizzate,le pene inasprite,i provvedimenti emessi per una frangia di facinorosi,estesi alla gente comune,agli ultras veri,ai semplici tifosi.Chiunque si interroghi sui fatti di domenica,chiunque cerchi di razionalizzare l’odio verso le forze dell’ordine,trovi le motivazioni nella crescente repressione incondizionata voluta dai colletti bianchi,che in talune partite ordinano di toglierti la cintura,altrimenti non puoi assistere alla partita.Trovino le motivazioni nella militarizazione degli stadi.Trovino le motivanzioni nell’assegnazione ai questori di taluni poteri normalmente affidati ai giudici,sovvertendo un principio cardine del nostro ordinamento.Trovino le motivazioni sul fatto di non poter sventolare una bandierina con un numero o una dicitura innocua ritenuta potenzialmente violenta.Trovino le motivazioni in tutti gli stratagemmi volti a scoraggiare i tifosi,come biglietti pseudo nominali,tornelli e posti a sedere.Trovino le motivazioni nell’assassinio di un ragazzo che ha avuto meno importanza di un cane e di un poliziotto.Si accorgeranno che questa faccenda,di sportivo,può avere ben poco.Il ripensamento generale è su una questione più ampia,politica e sociale.

    Ho detto a mia madre che suo figlio è un terrorista.E probabilmente i media,per la prima volta,stanno affrontando in maniera diversa la questione.Adesso sono curioso.

  9. “Tifoso della As Roma, Ultras della Curva Sud, semplice utente di questo calcio industria o illuso e romantico sostenitore di un ideale e di uno stile di vita, a te rivolgiamo queste righe per spiegare il perchè, domenica prossima in occasione di Roma -Udinese, la Curva Sud dovrà rimanere vuota di passione e di persone.

    La morte di Gabriele Sandri sembra si stia dimenticando, superata e sepolta da un sistema deviato che salvaguarda se stesso ed i propri interessi a discapito di tutto il resto. Tutto viene e sarà stravolto, distrutto e ricostruito con l’ unico obiettivo di essere strumento per i classici e soliti giochi di potere; è quello che sta accadendo, ora come sempre. In un paese dove “la legge è uguale per tutti”, ma non tutti sono uguali davanti alla legge, siamo ancora una volta spettatori di una nuova ingiustizia e, di vederci ennesimamente puntati contro i

    riflettori di un’opinione pubblica strumentalizzata da stampa, massmedia e lobby di potere.

    L’ Ultras va eliminato, perchè le curve sono oasi di pensiero libero e non omologato, in una società vuota di valori e lobotomizzata; sono un terreno non ancora massificato ed instradato nei soliti binari degli interessi, un terreno che non fa certo comodo a chi tutto controlla.C’ erano una volta le coreografie, i colori, le bandiere e gli striscioni, ricordi di una curva che ci hanno accompagnato da sempre e che oggi con tutta questa repressione diventeranno sempre più ricordi sbiaditi. Da qui oggi nasce la nostra riflessione e presa di coscienza che ci porta a rimanere fuori, non solo dalla Curva ma anche da questo stato di cose; ed è quello che chiediamo ad ognuno di voi, di riflettere, ricordare e iniziare a comportarsi come ognuno ritiene più giusto in un momento decisamente delicato.

    Non ci troverete fuori i cancelli della Sud domenica, perchè a qualcuno farebbe comodo dire che la nostra prepotenza ha lasciato la curva vuota e, per non far parlare ancora chi dovrebbe una volta tanto nella vita farsi da parte, almeno ora.

    L’ unica possibilità per salvare la propria dignità e i propri diritti, passa attraverso la scelta di ognuno di noi che siamo allo stesso tempo complici e vittime di questo circo, che lasciato solo è destinato ad estinguersi. L’ appuntamento è domenica alle 14 al Circo Massimo con sciarpe e bandiere uniti nel pensiero, nella passione e negli ideali per tifare la nostra Roma… visto che di circo si parla”.

    CHE OGGI LO SPETTACOLO ABBIA INIZIO…

    MA SENZA DI NOI!

    I GRUPPI DELLA SUD

  10. Il diciottenne Antonino Speziale, tifoso del Catania indagato per l’omicidio dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, che fu assassinato nella piazza accanto allo stadio Angelo Massimino, non deve rientrare in carcere. Lo ha affermato il sostituto procuratore generale della Cassazione, Oscar Cedrangolo che, nella requisitoria di stamattina davanti ai giudici della prima sezione penale della suprema corte, ha chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza con cui, lo scorso 2 luglio, il tribunale della libertà per i minorenni di Catania aveva disposto nuovamente la custodia cautelare in carcere per il giovane.

    Attualmente il ragazzo, che aveva compiuto in carcere i 18 anni di età, si trova agli arresti domiciliari in una comunità, ma il provvedimento fu adottato per resistenza aggravata durante la sua permanenza nel carcere di Bicocca. Per questo reato è già sottoposto a processo, mentre per quanto riguarda l’accusa di omicidio volontario, le indagini sono ancora in corso. Se la Cassazione, la cui decisione potrebbe arrivare nelle prossime ore, dovesse accogliere la tesi sostenuta dal pg e dai difensori nel loro ricorso, il ragazzo rimarrebbe in comunità, evitando quindi il carcere in maniera definitiva.

  11. …piccolo ma importante passo verso la verità. Quella che, in fin dei conti, già tutti conoscono ma per non scomodare nessuno terranno sotto sabbia ancora per qualche anno, potete scommetterci! Intanto a poche centinaia di chilometri da qui un assassino ha cenato insieme ai suoi familiari anche stasera ed ora magari sta facendo l’amore con sua moglie prima di andare a dormire… povera Italia! Poveri noi!

    GIUSTIZIA per GABRIELE

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