ACAB 12a puntata

Il pallone è nostro!

Dagli amici di "ActionNow PlayOldStyle" riceviamo e pubblichiamo un’interessantissima riflessione. Uno spaccato dell’attuale stato di salute del nostro pallone e dell’intero pianeta calcistico italiano. Prego…

"In Italia sta dilagando una nuova moda. Parlare a sproposito di calcio. Ma attenzione: non più quel calcio parlato con asineria suprema per la quale ogni impiegato, barista, avvocato o qualsivoglia altra figura professionale, una volta smessi gli abiti con i quali si esprime al lavoro, nasconde un commissario tecnico, un esperto di tattiche, fuorigioco, ripartenze e diagonali. No, anche questo tuttologo, tipo Biscardi vecchia maniera, oggi è superato. Il calcio del quale oggi è di moda straparlare è il calcio vissuto sugli spalti. Il calcio fatto di appassionati che seguono “the beautiful game” anche quando la propria squadra non litiga per i diritti televisivi ed invece campicchia visitando e calpestando campetti di infime serie. Se poi a questa figura di uomo “football-crazy”, figura ormai in netta controtendenza socio-culturale (eh sì, perché ormai è up-to-date seguire il rugby che fa molto più liberal e/o radical chic!) si appiccica qualche parolina magica tipo “ultras”, teppista, scontro, ululato ecc., ecco che addirittura ci sta tutto un pezzo da prima pagina, bello e fatto. E se magari non è proprio da prima pagina, pazienza. Qualche giornale troverà spazio nelle pagine della cultura, spazi ormai garantiti a mondanità vacue e notti bianche con cui satollare le frenesie di nottambuli consumatori di qualsiasi panzana mediatico – social – culturale.

Ecco allora che in un Paese in cui tutti sono esperti di tutto, in cui giganteggiano gli "opinionisti" ed i giornalisti, i veri esperti di ogni campo dello scibile umano, emergono fantasie morbose riguardo ad ogni tipo di aggregazione umana che segue una partita di pallone. Insomma, a farla breve, si è creato un paradigma assolutamente fuorviante: i tifosi di calcio, specialmente quelli delle curve, sono dei mostri feroci pronti a ogni tipo di scontro e blablabla. Persino dei presunti brigatisti rossi sono caduti nel qualunquismo banal-borghese quando, beccati in recenti intercettazioni telefoniche, si sono riferiti agli stadi parlando di luoghi privilegiati nei quali operare proselitismo, dato il disagio sociale da cui partono le lotte e ancora blablabla. Qualcuno, poi, molto di recente, sulle pagine de “La Stampa” ha addirittura fatto uno scoop scoprendo fitte trame delinquenziali di carattere europeo ed appuntamenti fatti di bicchierate e scazzottate un po’ in giro per il vecchio continente, il tutto per evitare di essere schedati in patria e tante altre ovvietà che viene il mal di pancia a leggerle. Ma siamo seri! Chi scrive da sempre segue partite di ogni categoria in ogni paese europeo che riesce a visitare. E senza il bisogno di mostrare né muscoli (non sarebbe uno spettacolo) né grinta; senza darsi appuntamenti clandestini per picchiare nessuno e senza tante altre falsità che riempiono la bocca di chi pensa che andare allo stadio sia come entrare nella gabbia dei leoni in un circo di periferia.

Il mondo del calcio, in verità, è ridotto piuttosto male. Dilaniato da interessi economici, da diritti televisivi ed altre insulse modernità. Dobbiamo sopportare presidenti saccenti, moralizzatori, collusi, falsi e tanto altro. Dobbiamo sopportare calendari in cui per esigenze televisive si gioca ogni giorno. Dobbiamo sopportare calciatori che a forza di frequentare le veline, si vestono come loro e si comportano come loro. Dobbiamo sopportare stadi a norma in cui quello che conta non è la sicurezza dei tifosi, ma la “scenicità” degli eventi. Dobbiamo sopportare un infernale chiacchiericcio infantile ed ipocrita fatto di infiniti “te-l’avevo-detto” ogni qual volta le cose finiscono male. Questo è il male del calcio. Non permettiamo a nessuno che, per salvare le baracconate miliardarie, si sposti l’attenzione dai veri problemi e si indichino quali responsabili del fallimento della società quattro fanatici che pensano che con la violenza negli stadi si possa diventare “qualcuno”. Allora, almeno noi che non cadiamo nel qualunquismo prefabbricato, sottraiamoci al coro di voci stonate che parla a vanvera di hooligans, trasferte, calci, pugni e tricchettracche. Allo stadio si va a sostenere la propria squadra o semplicemente per passione. A vedere una partita di calcio".