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La trasferta di Aprilia

Sarà come morire…

Torniamo ad Aprilia dopo gli anni di Lega Pro. L’ultima volta che siamo stati qui, ci siamo dovuti accontentare di guardare la partita dal parcheggio ospiti perché mai ci siamo venduti alla “tessera del tifoso”. Venimmo qui con un piede e mezzo in Serie D agli sgoccioli di una stagione disastrosa. Non è cambiato poi molto negli anni, visto che per la seconda domenica successiva in trasferta, anche qui troviamo il settore ospiti chiuso, stranamente chiuso con alcune persone sedute sugli spalti.

Dopo aver richiamato l’attenzione con qualche coro, decidiamo di dirigerci dietro una delle due porte, ma proprio mentre stiamo per posizionare le pezze, sbucano fuori come funghi alcuni funzionari dell’ordine, che svolgono il proprio mestiere con telefonino nella mano e sigaro in bocca. Stranamente, nemmeno lì possiamo stare ed inizia a sorgere qualche dubbio. Più di qualche dubbio. Iniziamo a chiederci se non sia una “manovra voluta” questa di farci girovagare attorno al “Quinto Ricci”. Dopo Anzio, anche Aprilia con i lucchetti ai cancelli. Evidentemente, qui c’è qualcuno che non vuol sentire le proprie orecchie fischiare per tutti e novanta i minuti.

Dopo le nostre pressioni ci dicono che possiamo fare il giro dello stadio ed entrare nel settore ospiti dal cancello affianco alla tribuna di casa. Quando i nostri corpi stanchi lo varcano siamo già al quarantesimo del primo tempo. Paghiamo biglietto intero a sei euro per vederci, si e no, metà partita, ma oggi la cosa che più ci preme è ribadire la nostra linea di condotta. Quindi al diavolo i sei euro e pronti con la voce alta per cantare contro i “papponi” che stanno per sedersi alla presidenza di questa gloriosa squadra di calcio.

La partita è l’ennesima brutta figura stagionale, ma nessun dramma, c’è sempre tempo per far peggio di così, soprattutto quando si entra in sala stampa facendo apparire un tre ad uno per gli avversari come una grande gara dei rossoblu. Nemmeno più la gratificazione di battere i “famosi dodici calci d’angolo” con Capuano in panchina c’è rimasta. Questi si sono superati. Nella nostra personale classifica dei più odiati, sono riusciti a superare chi chiama “checche” i propri giocatori. Pensate un po’ che “soggettoni” abbiamo davanti.

Il sostegno alla maglia non manca mai, nemmeno ora che altri e più gravi problemi si frappongono tra Noi e la nostra amata. Malgrado una classifica indecorosa, un allenatore incompetente in panchina ed un’azienda che vuole impadronirsi di novantadue anni di storia. Cori e colori non sono mai assenti, nemmeno adesso che qualcuno vuole mettere le sue mani su qualcosa di nostro.

E Noi, come amanti gelosi della propria donna, osserviamo da lontano che nessuno osi nemmeno sfiorarla. Fino a quando si chiamerà Fondi Calcio 1922 a nessuno è concesso farle gli occhi dolci. E visto che, cambio denominazione a parte, il web è già pieno di nuovi simboli e diciture, crediamo di essere agli sgoccioli di questo nostro amore.

Siamo pronti a lottare per Lei ancora, ancora ed ancora, purché nessun azienda scriva il proprio nome su quel simbolo, purché nessun nome oltraggi l’unica denominazione che accettiamo, purché si parli di Fondi Calcio 1922.

La nostra storia è la sua, Noi siamo Lei, Lei è di tutti Noi. La nostra storia è fatta di undici anni, su ogni campo, calpestando ogni gradinata, percorrendo strade, viadotti e gallerie, navigando in mare e volando tra le nuvole, per raggiungere Lei, anche solo per un attimo, anche solo per un battito di mani ed un coro urlato in pochi.

Lei, l’unica donna capace di farci piangere. Piangeremo, certo che piangeremo. Aspetteremo il suo ritorno, e tutto sarà come prima, più bello di prima!

In casa con l’Isola Liri

Aspettando la bufera

Nella bufera è difficile andare avanti, è facile smarrirsi, perdere l’orientamento, sbagliare strada e ritrovarsi chissà in quale sperduto campo di girasoli. E’ così che iniziano i finali drammatici, con una bufera di quelle mai viste, pronta a spazzar via tutto. Una volta passata la bufera non rimangono che macerie di ciò che c’era prima.

Una bufera è l’inizio della fine. Vedi gente scappar via, nascondersi dietro i pali o sotto gli alberi. Vedi gente rifugiarsi proprio lì dove si abbatteranno fulmini e saette. A volte, anche solamente i primi segnali che l’annunciano, sono sirene per i fuggiaschi.

La bufera, qui a Fondi, è da un po’ che si prepara ad arrivare e per ora si è fatta annunciare da pioggia e vento. Pioggia e vento mandate all’avventura, per preparare il terreno a ciò che verrà. Non dovremo nemmeno aspettare tanto per vederla arrivare.

Eppure, con i primi schizzi e le prime folate, siamo rimasti al nostro posto, ben saldi su quei gradoni, malgrado i colori che noi amiamo abbiano i giorni contati. Lì, malgrado l’arrivo della bufera, intrepidi ed audaci, in attesa che il tutto si materializzi davanti a Noi.

Siamo rimasti lì al nostro posto, nella Curva Iacuele, per sostenere i colori di queste maglie ed il nome che risuona nella vallata da ormai novant’anni. Potranno dire e fare quello che i loro bigliettoni verdi permettono, ma in Città c’è un’unica squadra di calcio ed il suo nome è Fondi Calcio Football Club. I suoi colori sono il rosso ed il blu, lo ripeteremo fino alla spasmo.

Malgrado l’avvicinarsi della bufera, chi ama questo nome e questo binomio cromatico rimane al proprio posto e non vede assottigliare le proprie fila, anzi, le vede ingrossarsi come un fiume in piena pronto a tracimare. Domenica dopo domenica siamo sempre più su quegli spalti e fa piacere vedere tra Noi il ritorno di vecchie facce ed il timido avvicinarsi di nuove leve. I vecchi tornano a difendere le tradizioni, i giovani vengono ad innamorarsi dei gradoni, sposando la causa e battagliando al nostro fianco.

I rossoblu stazionano nei bassifondi della classifica, ma nella Iacuele sembra ci sia l’entusiasmo di una prima in classifica. In lontananza nuvole grigio scuro pronte a dirigersi qui all’improvviso, ma su questi spalti sembra esserci sempre il sole. Sembrerà strano, forse non lo è, ma proprio nei momenti peggiori che la Iacuele ha dato prove di forza e segnali forti.

Malgrado la gara, malgrado il “boss” con la scorta in tribuna, malgrado tutto, sempre pronti a sostenere la nostra fede, sempre pronti a dar battaglia per la nostra passione. E la sintesi del nostro pensiero sta tutta nei cori cantati con le spalle al campo, ai giocatori, ai burattini ed ai burattinai che stanno infangando anni di storia.

Spalle al campo, perché Noi mai e poi mai daremo il fianco a questi “papponi”, non siederemo mai con loro a banchettare, non staremo mai a guardarli ingrassare con bugie e falsità, non saremo mai loro schiavi, non lo siamo stati mai di nessuno.

Spalle al campo, perché è questo quello che meritano loro e chi ciecamente crede alle loro pagine di giornale, comprate così come si compra un mezz’uomo disposto a vendere anche la propria dignità.

Aspetteremo su quei gradoni l’arrivo della bufera, perché se proprio dobbiamo morire, preferiamo farlo sul campo di battaglia. In trepidante attesa affileremo la spada e lucideremo l’armatura, baceremo l’amata e marceremo uniti verso il nostro destino.

Noi non siamo in vendita e mai lo saremo!!!

La trasferta di Anzio

Ogni volta

La trasferta di Anzio ha sempre fatto del tutto per essere ricordata. A distanza di anni ricordiamo ancora quanta acqua prendemmo un lontano giorno di aprile iniziato con trenta gradi all’ombra e terminato con litri e litri di pioggia su di Noi. Torniamo indietro cliccando ‘rewind’ e vengono fuori scene apocalittiche, esilaranti, che con il calcio hanno poco a che fare, ma che rispecchiano lo spirito ultras.

Anzio è una delle trasferte che non ci ha mai abbandonato, fin dagli albori di questa nostra “avventura”. Sarà che qui si respira aria di mare e che le nostre menti non riescono a non immaginarsi distese al sole in una delle tante villette che baciano la riva. Sarà che qui ci siamo cresciuti, in un certo senso, ma sistematicamente e puntualmente, ci ritroviamo a dover far uso del tom tom per trovare il “Bruschini”.

Anzio non sarebbe tale se non ci regalasse qualcosa di straordinario ogni volta che il calendario ci porta qui. Anzio non sarebbe tale se non ci fosse l’erba alta nel settore, se non avesse la vecchia cinta muraria attorno al campo che fa tanto ‘vintage’, se non avesse il solito settore ospiti chiuso.

Anzio è come il cilindro di un mago, da dove non sai mai cosa verrà fuori. Anzio è un dado che tiri, sbatte al bordo, torna indietro e ti ritorna con un numero diverso di volta in volta. Non avremmo motivo per attendere questa trasferta se non fosse così.

Anzio, questa volta la ricorderemo con un po’ di nostalgia, qualcun altro con un po’ di strizza e le mutande bagnate. Anzio ci regala il peggior Fondi della stagione. Il peggior Fondi o quello che ne resta, visto che si gioca con orrende magliette rosso azzurre che con i nostri colori non hanno nulla a che fare.

Anzio regala, a chi siede sulla nostra panchina per la prima volta, il giusto “tributo” dopo aver dato fiato alle trombe in settimana. Forse ora avrà capito che deve misurare parole e giudizi affrettati. Ma Anzio regala anche un fastidioso ronzio nelle orecchie di chi crede di poter sputare addosso alla nostra gloriosa maglia. Forse ora avrà capito che non scherziamo.

Del risultato, del gioco, degli uomini in campo, dei mezzi uomini in panchina e dei “papponi” in tribuna ci interessa fino ad un certo punto. Domenica abbiamo badato a Noi stessi ed a difendere gli storici colori che portiamo addosso, domenica dopo domenica.

Anzio, questa volta, ci ha regalato una domenica di amore e passione. L’amore urlato in faccia a chi nell’oscurità sta tentando di oltraggiare la storia e la gloria di questo nome che portiamo tatuato sulla nostra pelle.

Anzio ci ha regalato un pomeriggio di sostegno, come nostro solito. Già perché quello non manca mai e nemmeno questa volta, malgrado tutto, è mancato. Anzi, chi è sceso in campo, se ha avuto orecchie per sentire, si è accorto di come chi sta sugli spalti non sminuisce il proprio essere pur se impegnato su più fronti.

Anzio, anche questa volta, ci ha regalato un’altra domenica da ricordare…malgrado il resto.

In casa con il Palestrina

Botte prima degli esami

Ci sono domeniche nelle quali il risultato del campo conta davvero poco. Terminati i novanta minuti ti rimane dentro qualcosa che non ti farà dormire la notte, pensando e ripensando, senza darti pace, cercando di trovare la giusta posizione sul materasso e l’angolo di cuscino più caldo.

Linee del campo, bandierine, pali, traverse, reti e marcatori non ti tormentano così come invece sta facendo questo assillo, che ti è venuto a cercare non appena è iniziata la battaglia sul prato verde. Hai ascoltato lo speaker del “Purificato” proferire parole strane e maleodoranti di denaro. Hai fiutato nell’aria una puzza inconfondibile di “marcio”, come quando il limone che splende sul tavolo in cucina, nasconde muffa grigioverde nella parte che il tuo occhio non vede.

Marcio, c’è del marcio in quello che hai appena udito provenire da quel megafono e lentamente le tue narici ti aprono gli occhi e la mente, realizzando tutto. Furbi si credono questi impostori, che forse scambiano Noi per quelli che comodamente siedono sotto la tribuna centrale, ad un passo dal “regista” di questo film grottesco che sta per iniziare.

Furbi, molto furbi, credono di avercela fatta sotto il naso, ma sbagliano di grosso. Noi non resteremo mai seduti a guardare questo spettacolo indecoroso. Noi siamo figli di questa Città e custodi di questa maglia “rossoblè”, così come la chiamavano i nostri nonni, così come vogliamo che rimanga, ora e per sempre, così che i nostri nipoti ed i nipoti dei nostri nipoti possano amarla come l’amiamo Noi!

Di mercanti, nel calcio del ventunesimo secolo, ne siamo pieni, tanto che non ce ne meravigliamo più. Ma qui non si tratta di mecenati pronti ad investire per il bene comune e per un ritorno economico personale, qui si tratta di ben altro. Qui c’è qualcuno che ha venduto 92 anni di storia come due casse di zucchine al MOF. Qui c’è qualcuno che ha voluto far entrare in casa nostra perfetti sconosciuti, pronti a fare di una gloriosa squadra di calcio un proprio giocattolo. Qui c’è qualcuno che fino ad oggi si è occupato di lauree ed oggi vuole avere i “galloni” per poter decidere le sorti di una squadra di calcio.

Capiamo benissimo che, questi signori, volutamente con la “s” minuscola, credano di poter comprare una Società così come si comprano attestati e qualifiche, ma nel calcio non funziona esattamente così. Nel calcio non si paga la Commissione per passare l’esame, nel calcio non si mostrano le tette al Professore per avere un trenta con lode.

Il calcio è altra cosa, assai lontana dalla vostra concezione di business e buste gialle piene di bigliettoni. Se volete veramente investire e far conoscere il vostro “nome”, già rinomato sulle maggiori testate di cronaca nazionale, avete la possibilità di spendere i vostri soldi e quindi quelli dei vostri studenti in sport quali il basket o la pallavolo, che hanno sicuramente più bisogno del calcio e che permettono di cambiare colori sociali e denominazioni purché si faccia “sport”. Non lo sapete, ma ve lo diciamo Noi. Da quest’anno la Lega Pallavolo Italiana ha deciso che copierà il “modello NBA”, con la possibilità di acquistare le licenze che permetteranno a città che non hanno mai avuto nemmeno una squadra di pallavolo, di poter disputare il massimo campionato. Ecco! Buttatevi nella pallavolo!

Quello che sta per accadere al nostro Fondi è già accaduto altrove. E’ accaduto a Salisburgo nel 2005, dove l’Austria Salisburgo si è trasformata nella Red Bull Salisburgo, cambiando i colori sociali dal viola al biancorosso, per volere della nuova proprietà. Qualcosa di molto simile è accaduto nello stesso anno anche alla gloriosa Lodigiani, che ha visto crescere talenti come Di Michele e Toni, prima di cadere nell’anonimato con la nuova denominazione Cisco Roma.

Quello che sta per accadere a Fondi è qualcosa che con il calcio non c’entra nulla. Un lurido gioco di potere, uno scambio di favori sottobanco, così come copiare da un libro durante un esame. Ora però, fossi in voi, mi preoccuperei, perché saremo Noi a tenervi d’occhio e toccherà a Noi giudicarvi. Copiare non servirà a nulla, cari faccendieri!

La trasferta di Roma(Astrea)

Dove ti porta il cuore

Raccontare della giornata di domenica mette una noia tremenda, che nemmeno ci andrebbe di scrivere quattro righe su quella che chiamare “trasferta” è pura utopia. Come si può chiamare così un viaggio, di poco più di cento chilometri, che ci porta nel grembo di un carcere minorile?

Affrontare l’Astrea è come accontentarsi di una bambola gonfiabile quando in strada si trova di meglio anche a trenta euro. Giocare lì, tra quelle mura spesse e la miriade di telecamere non è certo quello che si sogna quando si parte la mattina per andare in trasferta.

L’Astrea non ha seguito ultras, né tifosi, solo qualche parente dei giocatori in campo e già per questo motivo andrebbe radiata da tutti i campionati nazionali, trovando posto tra gli “amatori” oppure nei tornei interministeriali e se la fortuna dovesse baciarla, una bella amichevole con la Nazionale Cantanti non guasterebbe. Nuda e cruda realtà.

Dai su, il calcio è cosa seria, troppo serio per trattarlo così, con sufficienza. Il calcio è fatto per regalare emozioni, ma lì le emozioni volano via senza far sorridere e gioire nessuno. E pensare che una volta scendevano in campo vere e proprie guardie carcerarie, ora tornate a girare chiavi nelle toppe per far posto a “professionisti del pallone”.

Lì a Casal del Marmo non dovrebbe esserci spazio per il calcio, così come in tanti altri posti dove siamo stati e non vorremmo mai tornare. Gli spalti da calpestare sono altrove, lontano da quelle mura spesse. Noi, abituati a vedere muri e recinzioni nel nostro recente passato, non abbiamo potuto fare a meno di rimpiangere quelle domeniche passate in giro per lo Stivale, cercando un pertugio che potesse regalare ai nostri occhi quello che una lurida tessera ci aveva tolto.

Ma il passato è passato ed il nostro presente parla di campi di merda come quello di domenica, immersi nel nulla, con il nulla anche sugli spalti. Il nostro presente è un girone assai avaro di tifoserie e trovare motivazioni in queste giornate amare è veramente impresa ardua per Noi amanti del tifo.

Si timbra il cartellino e si assiste all’ennesima gara senza i tre punti. Il sostegno è quello di sempre, ma è orfano di quella grinta che solo quando hai qualcuno dall’altra parte della barricata riesci a tirar fuori. Esserci è la regola, sostenere il minimo sindacale.

Andiamo via da quel lembo di terra desolata, dove solo i gabbiani volano liberi, con un punto in tasca e la tristezza sui nostri volti, segnati ormai da anni di domeniche passate lontano da casa. Tristi perché a Casal del Marmo viene meno persino la voglia di cantare e se qualcuno ci chiama sul cellulare, evitiamo di dire che siamo in trasferta lì.

Vagli a spiegare che sei in trasferta a Casal del Marmo, un posto che se non fosse per il carcere minorile, nemmeno sarebbe segnato sulle cartine. Eppure ci sei, ci siamo, lì dove il calcio è lo sfizio di un Ministero, lì dove il calcio perde ogni suo lato fascinoso.

Casal del Marmo non è certo la trasferta che racconteremo ai nostri nipoti, possiamo star tranquilli!

In casa con l’Ostia Mare

La lezione

Perdere fa sempre male, ancor di più quando in campo non vedi lo spirito giusto e quella cattiveria che tu hai addosso da quando sei nato. Perdere è un po’ come morire, concedendo il tuo corpo alla spada del tuo avversario per farti trafiggere il ventre. Perdere vuol dire arrendersi, ancor prima del fischio finale, proprio come è successo domenica.

Perdere ci sta. Ci stanno i gol di scarto e le differenze sul campo. Ci sta la diversa caratura rispetto agli avversari e ci sta la sconfitta meritata. Nel calcio tutto ciò è prevedibile e per certi versi anche accettato di buon grado se si è sportivi. In fondo, perdere non è nient’altro che una delle tre probabilità previste nell’esito di una gara e già questo lo rende meno cruento di quello che in realtà è.

Se si scende sul terreno di gioco senza ardore, orgoglio e fierezza si rischia di rimetterci anche la faccia e puoi star sicuro che non ti verrà in aiuto la grande prestazione della domenica precedente. Già, perché nel calcio la memoria non sempre viene in soccorso, anzi, è più facile che il pubblico ricordi un tuo errore in una gara di una anno fa, piuttosto che una tripletta del mese scorso.

Ogni domenica è storia a sé, ogni domenica bisogna guadagnare sul campo gli applausi, ogni domenica si infilano gli scarpini e si indossa la maglia, la nostra maglia, con i nostri colori. Ogni domenica undici atleti sbucano fuori dallo spogliatoio con le maglie del Fondi sulla pelle e questo basterebbe per capire che quella che è ripiegata, con meticolosa precisione, fino a cinque minuti prima del fischio d’inizio sulla panca è la nostra ragione di vita.

Tale è l’importanza che ricopre per Noi, che a chi ha l’onore di indossarla chiediamo semplicemente di onorarla, di farne una seconda pelle, di portarla più in alto possibile e se, i limiti dovessero prevalere sulle vittorie, chiediamo allora che la casacca sia sempre sudata e che non si esca dal campo a capo chino e con i pantaloncini ancora freschi di bucato.

Si può perdere, si può uscire sconfitti, si possono incassare gol a grappoli, si può soffrire in difesa per novanta minuti. Potete perderle tutte e trentaquattro queste partite, potete essere il fanalino di coda della classifica, potete divorare gol e sbagliare passaggi elementari. Tutto vi concediamo, purché si lotti su ogni pallone, in ogni centimetro del campo, anche per una semplice rimessa laterale, anche solo per il gol della bandiera.

Domenica non ci siete piaciuti, nemmeno un po’, fin dal primo minuto e nei restanti ottantanove avete fatto peggio, ma siamo rimasti lì, al nostro posto, orgogliosi e fieri dei nostri colori, maltrattati da voi sul terreno di gioco.

Domenica, malgrado la prestazione disarmante, i tre gol incassati e la pochezza in tutti i reparti, siamo stati lì in Curva Iacuele a sostenere i colori che portate addosso e che domenica avete dimenticato di onorare. Malgrado tutto, per tutti e novanta i minuti. A sentire i nostri cori incessanti sembravamo noi quelli in vantaggio. Malgrado tutto vi abbiamo applaudito anche a fine gara, quando avete raggiunto in fretta gli spogliatoi.

Speriamo che nel “frastuono” dei tre gol subiti, abbiate avuto modo di ascoltare il nostro sostegno incondizionato. Quello di sicuro non mancherà mai, al contrario del vostro impegno. La Iacuele vi accompagnerà sempre ed ovunque. Adesso sta a voi decidere se essere valorosi guerrieri o semplici soldati.

Bisogna onorarla, sempre e comunque!

La trasferta di Budoni

Ogni domenica

Ci sono campi che rappresentano davvero una sorta di punto di non ritorno, perché difficili da raggiungere, inguardabili, inadeguati alla categoria, abbandonati ed in attesa da decenni di un minimo di ammodernamento. Ci sono campi che ti esaltano al solo pensiero di vederci scendere e giocare la tua Squadra del Cuore, rettangoli verde zeppi di blasone, fama, partite che hanno fatto la storia del calcio italiano, pali e reti che hanno sfiorato il pallone calciato da autentici fenomeni, ma anche quelli che gli addetti ai lavori chiamano “giocatori operai” ma che hanno avuto la fortuna di vestire casacche gloriose. E poi ci sono i campi tradizionalmente ostici, dove non sono fattori ambientali o tecnici a metterti in difficoltà, tantomeno gli avversari, e non ha importanza se essi siano i favoriti del Girone o gli ultimi ripescati dell’Estate. Su questi campi ci vai sapendo che quasi sicuramente tornerai a mani vuote, senza entusiasmarti, senza quella carica di adrenalina che fa inevitabilmente parte della nostra Domenica. Perché si gioca davanti a trenta accreditati, perché c’è il mare a due passi, perché sai già in partenza che giocare bene non servirà alla tua Squadra per fare bottino pieno e sgolarti, come mai fare da sempre, per sostenerla sarà l’unico modo per dimenticare le amarezze che ti regalerà la partita.

Budoni è senza ombra di dubbio un campo stregato per i nostri colori: sconfitti lo scorso anno, sconfitti quattro anni fa nella Stagione che si concluse col salto di categoria. E se al fatto che sia difficile, sempre più difficile, essere in tanti quando il nostro Fondi gioca in Sardegna, visti i costi assurdi di una trasferta, il caldo infernale, la partenza del Sabato pomeriggio ed il rientro a casa solo a metà mattinata del Lunedì… allora è facilissimo capire come preferiremmo un’altra composizione di questo Girone G, oppure lo spostamento in un altro raggruppamento che, paradossalmente, potrebbe voler dire macinare più km ma almeno evitare di restare senza nemmeno un centesimo nelle tasche per garantire alla nostra pezza di presenziare anche negli stadi dell’isola. Eppure, quando meno te lo aspetti, ecco che Budoni diventa una tappa importante per la Stagione del Fondi Calcio. Basta un goal per vincere, basta un guizzo di Diemè per portare a casa la vittoria e cancellare la delusione per le tre sconfitte consecutive, tra Campionato e Coppa, delle ultime settimane. Del risultato non ce n’è mai importato più di tanto, lo sapete, ma sincerità per sincerità il viaggio di ritorno ha avuto in questo modo un sapore sicuramente diverso.

Resta inspiegabile come la Società sarda e le FdO abbiano impedito il nostro accesso al Settore Ospiti, chiuso a doppia mandata. Resta altrettanto inspiegabile come abbiamo fatto ad aprirsi dopo pochi minuti dal nostro arrivo per far accomodare su quegli spalti che avrebbero dovuto vedere la nostra presenza un tesserato della Squadra di casa, sì, proprio lui, lo stesso che lo scorso anno passò 90 minuti a provocare lo squalificato Pascucci ed offendere i rossoblu in campo, salvo poi dileguarsi quando occhi indiscreti erano ormai lontani e restare “precauzionalmente” negli spogliatoi del “Purificato” nella gara di Ritorno. Inspiegabile come si pretenda di considerare una palestra di vita l’appartenenza ad una Squadra di Calcio, soprattutto in ambito giovanile, quando poi esponenti dello stesso sodalizio danno esempi di questo genere, non una, non due volte, ma viene da pensare ogni Domenica.  Un po’ come accaduto a Selargius, dove Dirigenti in doppio petto intimavano ai giovani raccattapalle di tornare negli spogliatoi quando i padroni di casa erano passati in vantaggio ed il Fondi aveva bisogno di guadagnare tempo sulle rimesse nel tentativo di riacciuffare la partita.In quindici giorni spendiamo un capitale, che equivale al cambio attuale a qualcosa come trecento euro a capoccia. Prima Selargius, ovvero Cagliari, a settembre, quando nemmeno la Ryanair regala il biglietto e la variante migliore la offre Alitalia, che cerca di farti dimenticare tutto con due biscotti stantii ed un succo all’arancia rossa. Poi, senza nemmeno il tempo di rompere il salvadanaio per racimolare gli spicci, ecco che devi correre a Civitavecchia di sabato sera, quando al tuo fianco partono per le crociere nel Mediterraneo e tu, invece, devi andare a Budoni…

Avete capito bene, Budoni! Budoni, che se non ci fosse il mare a trenta centimetri dalle case sarebbe più deserta di Perfugas d’inverno, quando solo i cacciatori hanno il coraggio di mettere il naso fuori dal portone, con un freddo che ghiaccia anche i motori delle auto. E noi, ne sappiamo qualcosa.

Budoni, a due passi dalla splendida San Teodoro, che ci limitiamo ad ammirare sulle cartoline che sembrano correrci dietro quando alle sette del mattino apriamo gli occhi per guardare il cielo limpido che si specchia nel Porto di Olbia.

Budoni, che rivediamo con i nostri occhi per la terza volta e vi assicuriamo che non ne andiamo fieri. La ritroviamo sempre uguale, con quelle case basse, al massimo due piani, con le facciate gialle e rosse, perché forse da queste parti non è che siano tanto ferrati sugli abbinamenti cromatici.

Dobbiamo inventarci qualcosa per far scivolare via il tempo, ma qui, in tutta sincerità, non è che ci sia l’imbarazzo della scelta. O decidi di camminare sulla sabbia, oppure ti siedi ad un bar ed aspetti che tedesche e russe ti mostrino cosa non possono fare a meno di mostrarti.

A noi in fondo non è dispiaciuto. Come non ci è dispiaciuto seguire e sostenere la nostra Passione da bordo campo, a ridosso della Tribuna di casa, dove, nemmeno a dirlo, affianco a tanti gioiosi bambini premiati dal Budoni Calcio con un pallone ciascuno e bandierine biancoazzurre, spadroneggiavano i “soliti insulti sportivissimi” di chi un secondo dopo prende a schiaffi il figlio se ha calciato il pallone lontano ed un secondo prima applaude l’ipocrita “Comunicato” che dobbiamo sopportare ogni Domenica. Ai nostri figli, ed ai figli dei nostri figli, auguriamo genitori diversi, cugini da cui prendere esempio e fratelli maggiori che li portino in Curva a vivere la partita, viverla, non guardarla, ma viverla. Ogni Domenica!

In casa con il Terracina

Che vuoi che sia…

Chi riempie le proprie domeniche con una banale partita di calcio, sa perfettamente che fino a quando la palla rotola sul campo tutto può accadere. Fino al triplice fischio della giacchetta nera, tutto, ma proprio tutto è contemplato, nulla è impossibile. Tutto ciò che in un improbabile calcolo statistico raccoglierebbe la percentuale minore, nel calcio ha il suo momento di gloria e diventa realtà, ripetendosi con una frequenza fuori dal normale.

Il calcio regala emozioni forti, spesso indescrivibili, difficilmente raccontabili con una penna su di un foglio bianco. Si rischierebbe di accartocciare parecchie risme di carta, cercando di far canestro nel cestino.

Il calcio riesce a farti piangere come nessuna donna ha fatto mai nella tua vita, perché da una donna riesci a star lontano, ma dagli spalti di uno stadio assolutamente no.

Che il calcio non sia una scienza perfetta lo si scopre da piccoli, quando si sogna di diventare un giorno calciatori, tenendo fermi i parastinchi con il nastro isolante ed arrivando agli allenamenti in Porsche. Poi, quando crescono i primi peli e la testa inizia a familiarizzare con la realtà delle cose, basta il vetro rotto di una finestra per capire che con quei piedi che ti ritrovi puoi al massimo sperare di fare qualche “numero” il giovedì a calcetto con gli amici, nulla di più.

Tutto quello che hai sempre sognato, fin dalla prima volta che hai visto in tv degli uomini rincorrere un pallone, perde quell’aura ancestrale tipica dei desideri e capisci che devi iniziare a guardare il calcio da un’altra prospettiva, diversa ma di certo non meno affascinante della precedente.

Sali quei gradoni con le spalle al campo e guardi verso il cielo. Ti volti ed osservi il terreno di gioco, lì a distanza di sicurezza, tranquillo e sicuro che non potrai mai camminarci e correre sopra palla al piede, ma in compenso ce la metterai tutta per sostenere chi avrà l’onore di difendere i colori che hai sempre sognato di indossare.

Dimentica dribbling, tunnel e cambi di gioco; dimentica stop di petto, tackle e gesti tecnici. D’ora in avanti la tua partita durerà novanta minuti, forse anche di più, ma sarà fatta di cori, bandiere, striscioni, torce, fumogeni e tanto altro ancora. Non tremerai prima di entrare in campo, non ti farai il segno della croce, non ascolterai la curva osannarti, non correrai verso i tifosi dopo un gol. Dimentica tutto questo e voltati di nuovo, offri le spalle al terreno di gioco, perché la tua partita si gioca sugli spalti, senza angoli e falli laterali, senza cross e verticalizzazioni.

La tua gara si gioca qui, fianco a fianco con amici e perfetti sconosciuti con i quali condividi una passione che non conosce soste e ripensamenti. Ti dimeni, gesticoli, chiudi il pugno, allarghi le braccia, percuoti le mani a tempo con gli altri, canti, urli, ti sgoli, soffri, speri, gioisci. Rabbioso e fiero di non essere in campo, ma da qui è come se indossassi gli scarpini anche tu.

Sugli spalti è un’altra storia, sugli spalti non c’è storia. Perché se in campo i nostri dominano ma fanno i conti con la proverbiale fortuna degli avversari, sugli spalti la musica cambia e di molto. Abbandonati i sogni di bambino, oggi ti ritrovi a dar le spalle al campo, perché in realtà del gioco e del risultato non sai cosa fartene. Alzi lo sguardo e osservi la tua curva cantare ed emozionarsi, capisci che non c’è gioia paragonabile a questa visione, nemmeno una rete sa estasiarti di più.

A distanza di anni, non guardi più una banale partita di calcio per vincere o veder vincere i tuoi colori, queste sono prerogative per chi è nient’altro che un semplice tifoso. Ma tu sei un ultras e la vivi in modo diverso, giocando la tua partita su quei gradoni, lottando fino al novantesimo e vincendo ogni domenica, ogni domenica, ogni domenica!

La trasferta di Selargius

La chiamerai “sfortuna”…

Dici “Selargius” e ti gratti i coglioni. Dici “Selargius” e ti guardi le spalle. Dici “Selargius” ed inizi la giornata sempre col piede destro, stando attento ai gatti neri. Guardi il calendario del girone e segni in rosso la data, ‘14 settembre 2014’. Cazzo! Inizia bene la stagione!

L’estate vola via e ritorna la routine. Inizia il campionato e si torna a viaggiare. Ecco, ci siamo, 14 settembre 2014. Zaino in spalla e speri solo di non dover scomodare santi e madonne per uscirne vivo. Ti fai coraggio e pensi “Ma sì, cosa potrà mai accadere che non sia già accaduto?”. La risposta è scontata. Semplice, tutto quello che ancora non è accaduto.

Il volo, stranamente in anticipo rispetto alla tabella di marcia, atterra a Cagliari senza feriti e dispersi e tutto fa presagire che in fondo non bisogna poi temerla questa insignificante trasferta. Non perdi tempo e ti incammini verso il treno, che in sette minuti di orologio ti porta in centro. Treno. Treno? Un vagone, due scompartimenti, più piccolo persino del trenino che collega Lamezia Terme Centrale a Catanzaro Lido, ricordo di vecchie trasferte andate e che mai più torneranno.

Cagliari ti acceca con il sole riflesso sul mare piatto e lucente ed in quel momento capisci che potresti anche decidere di rinunciare a seguire i tuoi colori, ma amare a prescindere non vuol dire tradire alla prima occasione e così ti convinci che hai un impegno da onorare, ben più importante di sabbia ed onde. Ti adagi in uno dei numerosi vicoli e ti rifocilli a pochi passi dai venditori di magneti, tutti rigorosamente senza permesso di soggiorno, che ogni dieci minuti montano e smontano le proprie mercanzie, osservati a distanza da due guardie che trasudano “intelligenza” da ogni tasca della divisa.

Il piccione che ti ha da poco sfiorato è un primo segnale inquietante. La cappa di caldo che viene dal mare è quasi un presagio. Quando leggi sul tabellone luminoso che non ci sono autobus per Selargius, capisci che aver strofinato i tuoi coglioni anche questa volta non è servito a nulla. A Selargius è festa, c’è il matrimonio selargino, o come dicono qui “sa coja antiga”, uno dei rituali più sentiti in paese e la tua proverbiale fortuna ti permette di arrivare nel piccolo centro solo dopo dieci minuti di cammino dalla fermata più vicina dell’unico autobus che effettua un percorso alternativo.

Di tempo ne hai in abbondanza, ma in tutta sincerità qui non c’è poi molto da guardare con interesse, tranne qualche sarda che mantiene fede alle aspettative ed allo stesso tempo mantiene alto il tuo umore, sì, chiamiamolo “umore”.

La gara è entusiasmante, veloce, ricca di emozioni, ma si mette subito male per i rossoblu. Nel frattempo, dalle tribune cadono giù rari epiteti che fatichi a comprendere e forse è meglio, perché rischieresti di passare il resto della partita a far capire, a chi non potrà mai farlo, che il calcio va inteso in modo diverso. Se ti soffermi ad ascoltarli ti viene da pensare che il calcio, se questo può essere così chiamato, non faccia per te ed i tuoi amici.

Quando un tizio di casa allontana dal campo i ragazzi delle giovanili, lì come raccattapalle, per non permettere ai rossoblu di avere palloni giocabili in breve tempo, la tua mente vola nostalgicamente al “Curi” di Perugia, al “Partenio” di Avellino, all’”Arechi” di Salerno, al “Ceravolo” di Catanzaro ed a tutti quegli stadi che ti hanno visto e sentito urlare per la tua squadra. Ora, che devi accontentarti di Selargius, capisci che era meglio “quando si stava peggio”, quando tessere incostituzionali ti tenevano lontano dai colori che ami. Forse è meglio star lontani, che assistere a questo squallore.

Si esce dal campo sconfitti, Selargius d’ora in poi sarà la “fatal Selargius”. Già, perché il volo di ritorno viene annunciato con un ritardo nel decollo, perché a Fiumicino per due panini bruciati nel grill si sono alzati in volo addirittura i caccia.

Riesci a tornare a casa solo in nottata, quando il sonno ti porta in salvo da una giornata così faticosa e ricca di insidie che la ricorderai per molto tempo. Riponi lo zaino, ripieghi la sciarpa, ti togli le scarpe e ti getti sul letto. Anche stavolta sei sano e salvo, malgrado tutto.

In casa con il Sora

E ritorno da te…

Ricominciare, lasciarsi l’estate alle spalle e tornare a cantare. L’ombrellone, l’infradito, il costume a fiori, la granita al limone, la sabbia sull’asciugamano, la tipa della terza fila che legge un romanzo, il bagnino che ingrossa il bicipite, il pedalò sempre a largo, il sole che scotta, l’assenza di onde, i castelli dei bambini, i racchettoni, il frisbee ed il cremino che si scioglie.

Vanno via gli amori, quelli estivi nati sotto la luce della luna piena, incapaci di resistere alle prime piogge. Va via l’abbronzatura, che per tre mesi ci fa sembrare più affascinanti. Vanno via le notti in riva al mare, quando scalzi si passeggia sulle conchiglie in frantumi. Va via la salsedine e quel sapore di bagnoschiuma rigenerante alle erbe, che in estate va in fumo più degli zampironi per le zanzare.

La passione, sopita per far posto allo scazzo, ritorna prepotentemente e si fa largo tra il lavoro e le nuvole. Ricomincia la scuola, l’università, il lavoro per chi ce l’ha. Ricomincia la tua unica storia d’amore, che non ha bisogno di lucchetti ad un ponte per dimostrare quanto sia inossidabile ed ineguagliabile.

Torni a soffrire, urlare, cantare, gioire se sei fortunato. Torni a sperare in un rigore, ad esultare per una vittoria. Torni al tuo posto, su quei gradoni che non vorresti lasciare mai. Torni e sorridi. Sei lì da pochi secondi ed hai già ritrovato la serenità, persa dopo l’ultimo acquazzone. Torni e già questo ti rende felice. Torni al tuo posto, con i tuoi amici al fianco. Torni in curva ed aspetti il tuo amore, più bella che mai, che tra qualche minuto sarà lì sul campo.

Ti brilleranno gli occhi, avrai il respiro affannato, un tamburo suonerà il tuo cuore e non potrai fare a meno di guardarla. Basterà un attimo per innamorarti di lei. Ancora una volta.

Tu lo sai. Dopo ogni estate è sempre la stessa storia. Non l’abbandoni, la pensi sempre, la scansi solo per qualche istante, vuoi quasi non pensarci, ma lo fai perché sai già che tornerà, che sarai ancora lì, che piangerai e l’amerai, ancor di più.

Ecco, sei lì che tremi, non reggi l’emozione, hai il cuore in gola, trattieni il respiro e le lacrime, tiri su il bandierone e regali al cielo azzurro un po’ di rosso e di blu. Sei l’uomo più felice sulla Terra in questo momento. Lei e lì, a pochi metri da te e te la stai facendo addosso. Tu sei qui, su questi gradoni, la osservi come la meraviglia più bella del Mondo.

La ami follemente, la pensi intensamente, la sogni di notte e la segui ovunque. Non te ne importa di quello che pensa la gente, a te interessa solo lei, lei e nient’altro. Sei innamorato, si vede anche da lontano. Hai un chiodo fisso che ti perfora la mente, non vuoi ascoltare nessuno, non sei disposto a farla diventare “niente”.

Amare non è nient’altro che innamorarsi ogni volta che si guarda il proprio amore, come fosse il primo incontro. Tu ami perché ogni volta che la guardi te ne innamori. Tu ami perché non vuoi sentir ragioni. Tu ami perché più passa il tempo e più l’avvicini al petto. Tu ami perché non sapresti viver senza. Tu ami perché sei uno degli ultimi romantici rimasti. Tu ami quello che per gli altri è meno di niente. Tu ami e non puoi fare a meno di lei.

Il triplice fischio ti regala una gioia, lei ha vinto sul campo, tu la osservi e scoppi in un pianto. E’ un pianto di felicità questo, di un amore ritrovato, ma che in realtà non se n’è mai andato.

Questa è la storia di un amore turbolento, che in pochi possono affrontare a cuore aperto. Questo è l’amore di un ultras per la propria squadra, una passione che dura una vita, non una sola giornata!