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La trasferta di Roma(Astrea)

Ma non sarà la fine

I raggi del sole filtrano nelle minuscole fessure dell’avvolgibile e puntano dritti verso gli occhi che, seppur chiusi, non resistono alla luce e stremati alzano “bandiera bianca”. Ancora assonnato e con gli arti atrofizzati, cerchi disperatamente le ciabatte, che chissà perché non ritrovi mai dove le hai lasciate prima di adagiarti sul materasso la sera prima.

E’ sabato mattina e le strade della Città già “chiacchierano”, tra clacson strombazzanti e le solite urla. Non è proprio l’alba e le rondini volano già da un pezzo, mentre una coppia di piccioni amoreggia sul tetto dei vicini. Ci sarebbero tutti gli ingredienti giusti per tornare a stendersi, anche perché hai girato la chiave nella toppa da poche ore, dopo bagordi notturni che da tempo non ti concedevi.

Ti affidi allo spazzolino, che dovrà cancellare ogni prova ancora evidente della sera prima; confidi nel dentifricio e nel colluttorio, alleati capaci di portar via con un gargarismo il sapore di tutto ciò che hai ingerito con ingordigia. Effettui tutte le operazioni con calma apparente ed alla fine ti ritrovi con un alito a prova di pomiciata. Per almeno mezza giornata non ti diranno che hai ingerito merda.

Di lì a poco sarai pronto per l’ennesima trasferta, l’ultima della stagione, che quest’anno, almeno per Noi, termina il primo sabato di Maggio. A rincarare la dose, arriva la certezza della diretta televisiva, con fischio d’inizio alle 14, che mette a dura prova la nostra complicata relazione con la puntualità. La puntualità, l’avversario più temuto da quando giriamo gli stadi.

Mortadella e salame nelle nostre focaccine, pronte per togliere i brontolii ai nostri stomaci, che non aspetteranno certo l’una per tornare a riempirsi, il tutto “bagnato” dalla birra più scadente che offre il supermercato, quella con il sapore indecifrabile ed il tappo tagliente. L’importante è che si sia scritto “birra” sull’etichetta, il resto non conta.

Ed infatti, la carta stagnola che avvolge le cibarie non ha lunga vita e vola via dal finestrino poco dopo Latina, mentre in auto riecheggiano gli UB40, dolci melodie per accompagnare l’ultimo viaggio di questa stagione.

La strada che ci porta al “Casal del Marmo” non è per nulla complicata, peccato solo per le telecamere ogni dieci metri che ti fissano in continuazione e non ti fanno star tranquillo, così “invadenti” che verrebbe voglia di fare inversione di marcia e tornare indietro. Invadenti, ma quasi innocue a confronto con le telecamere di quegli sfigati di RaiSport, che senza nemmeno un po’ di vergogna “sponsorizzano” chi ha smania di notorietà. Fortunati siamo Noi, lontanissimi da queste logiche!

Ospitalità da ultima giornata di campionato o utopica speranza di riempire l’impianto, non riusciamo a scoprire quale sia la molla che scatena il meccanismo, ma sta di fatto che ci accolgono a braccia aperte, senza nemmeno chiederci un lurido euro per il biglietto, con tanto di guardie al proprio posto, lontanissime da Noi e dalle nostre pezze.

Tanto per cambiare, la gara non la guardiamo nemmeno e con lo sguardo cerchiamo Pisinicca e soci, appollaiati dietro un vetro talmente spesso che i nostri insulti non riescono a penetrare. Torniamo al nostro posto e visto che ci siam svegliati con l’acido nello stomaco, ricordiamo ai presenti che il loro collega Spaccarotella non è altro che un “assassino”! Insomma, oggi abbiamo i coglioni girati, ma così girati che siamo tesi come una corda!

Sarà che è l’ultima e siamo rabbiosi come cani; sarà che per ricominciare ci vorrà agosto inoltrato e senza di Lei non sappiamo vivere; sarà che ne abbiamo pieni i coglioni di tutte queste inutili “passerelle”; sarà che siamo così come ci vedete, senza Ray-Ban e guanti di pelle, senza Stone Island ed “amici nello spogliatoio”; sarà che siamo talmente diversi dagli altri, così lontani dall’apparire, che questo Mondo ormai ci ha stufati, perché Noi siamo ben altro che una semplice fotografia. Noi siamo ben altro!

In casa con il Sora

Giusto il tempo di asciugarle…

Le pezze son da tre giorni appese allo stendino ed ancora non si sono stancate di far cadere a terra gocce d’acqua. Lasciano scivolare giù tutto quello che hanno raccolto domenica, in novanta minuti o poco più. Già, perché siamo ad Aprile, con Maggio sull’uscio della porta, pronto ad accomodarsi sulla sedia, ma tutto sembrerebbe, tranne che siamo in primavera.

Lo sguardo, inconsapevolmente, dopo il disgusto dello “zapping” giornaliero, torna a fissarle, stese lì come bucato, appese ad un filo che non è una balaustra e sicuramente non ha lo stesso fascino. Lo sguardo resta fisso, le osservi, le ammiri ed eviti di cliccare il tasto “rewind”, perché poi ci sarebbero altre gocce pronte a cadere.

Le osservi, le ammiri, le guardi con gli occhi di un padre verso i propri figli, ti metti persino a contare le gocce, gocce sempre più rade, che cadono inesorabilmente nella piccola pozza ai piedi dello stendino. Segno che manca poco per tirarle via di lì e sei contento, perché vederle lì ti fa uno strano effetto.

Non ti stancheresti mai di guardarle, perché come donne in tiro hanno quel fascino che ti stuzzica il desiderio, quella bellezza tipica di chi te la darà, ma nel frattempo ti fa soffrire e sperare per un “sì”. Saranno anche dei pezzi di stoffa, non hanno il dono della parola, ma se potessero parlare ne avrebbero da raccontare, dall’estrema punta a Nord, fino alle coste delle isole del Sud. Qualcosa “da pochi” e soprattutto “per pochi”.

Pezze, nulla in più di un pezzo di stoffa senza significato, che in molti nemmeno ricordano o hanno mai visto, ma che riponi con una cura maniacale dopo ogni domenica, manco fossero di cristallo e le adagi lì, sempre al solito posto, piegate sempre nel verso giusto, come se esistesse davvero “un verso giusto” e che in fondo in fondo esiste solo nella tua testa.

Pezze, che ti hanno accompagnato ovunque il tuo cuore abbia battuto per i colori rossoblu. Ovunque, ovunque si sia giocato e poco importava se in palio ci fosse il paradiso o l’inferno, quello che importava era essere lì, al fianco di ciò che accelera mostruosamente i tuoi battiti. Lì, ad un passo dal tuo folle amore.

Le gocce si fanno sempre più rade, quasi perdi il conto e le casse della tv coprono lo “splash” delle precedenti. Sei ridotto male, malissimo, è da trenta minuti che osservi oggetti inanimati e fantastichi come davanti al “buffering” di YouPorn.  

L’ultima goccia cade a terra, ne attendi altre, ma niente e poi un lungo silenzio, segno che le pezze son pronte per nuove battaglie e nuove balaustre, così come domenica in casa col Sora, così come la prossima a Roma con l’Astrea. E poi ancora, ancora ed ancora, come una storia infinita…che dura da una vita!

La trasferta di Porto Torres

Amore folle

Se avessimo trovato l’amore in terra sarda, ci sarebbe un motivo valido per tornare sull’isola a soli undici giorni di distanza dall’ultima volta. Tutto sarebbe diverso, tutto più soft, tutto più leggero e non passeremmo tutto il viaggio a pensare alla “batosta” tra capo e collo che ci hanno rifilato per accaparrarci un biglietto aereo Fiumicino-Alghero.

Tutto, ma proprio tutto, passerebbe in secondo piano, se solo ci fosse qualcuno ad aspettarci dietro la porta a scomparsa degli “Arrivi”. Il caso, anzi meglio, il destino beffardo che abbiamo scelto di far nostro, ci fa sfilare davanti una folla eterogenea che si accalca dietro una linea gialla immaginaria, in attesa di dispensare abbracci ai propri cari. A Noi, non rimane che osservare i loro occhi delusi, quando gli sfiliamo davanti e non siamo certo volti familiari.

Ci verrebbe di correre verso di loro, ma “un campanello” tipo centro commerciale risuona nella nostra testa e ci ricorda che abbiamo da “discutere” con una biglietteria automatica che non dà resto. Nel frattempo, scende giù per l’intestino lo stimolo che aspettavamo da quando abbiamo strabuzzato gli occhi alle 05:00 del mattino appena svegli. Cerchiamo i bagni, che di solito negli aeroporti sono più lucidi di quelli dalla pubblicità “wc net”, ma qui sembra di stare in un area di sosta della SA-RC, lì dove alleni l’alluce per tener chiusa la porta, mentre annoti nella testa numeri che un giorno potranno sempre tornare utili.

Ci si tappa il naso e si contraggono le natiche, perché fuori il minuscolo terminal c’è già il nostro Fertilia-Sassari pronto a partire e se da una parte la fortuna ci consente di riuscire a prendere al volo il bus, dall’altra ci costringe a fare il viaggio con famigliole in vacanza e temprati viaggiatori, mentre tedesche e svedesi optano per un più “comodo” Fertilia-Aghero. E’ in quel momento che capiamo che dovremmo, almeno una volta nella vita, tradire la “nostra donna” per qualcosa dal sapore nordico, ma finiamo sempre per giocarcela a carte con la coerenza e vince sempre lei, purtroppo.

Una volta giunti a Sassari, ancora nulla è compiuto e ci tocca attendere un’ora e mezza il Sassari-Porto Torres, pieno zeppo di giovani studenti e maleodoranti “colored”, che da queste parti sembrano non conoscere le saponette. Ce ne facciamo una ragione, quando sale un anziano sulla settantina, vestito a festa, con “coriandoli di forfora” che rendono la sua giacchetta “a pois” e che prima di scendere “molla” a bordo fragranze che coprono perfino le “scie chimiche” dei colored. Insomma, la compagnia è delle migliori!

Porto Torres vive di turismo, quindi ad Aprile dorme sonni profondi, tant’è che in giro non c’è nessuno, tranne una focosa coppietta all’ombra della torre aragonese, che fissa l’orizzonte del mare come la moglie di un marinaio fissa i marinai rimasti a terra. Non vola una mosca, anzi, a volare sono solo i gabbiani, che a differenza dei piccioni hanno una mira di merda, per fortuna. Sono da poco passate le 13:00 quando decidiamo di camminare per più di mezz’ora per raggiungere il “Comunale”.

Il cammino è lungo e la calura inizia a mietere le “prime vittime”, si ripresenta lo stimolo, ma lo strozziamo sul nascere, per la “gioia” di chi ci cammina dietro. Il caldo e l’unica bottiglietta d’acqua ci fanno gridare al “miraggio” quando sembra di scorgere la “nostra” Via Lazio, con i suoi palazzoni popolari e quell’inconfondibile colore rosa pallido. “Ma ndò cazz’ stam’?”. Sembra Fondi, ma non lo è!

Il “Comunale” è deserto ed il settore ospiti chiuso con una catena che ne ha assaggiata tanta di salsedine. L’ingresso principale è praticamente la distesa sabbiosa fuori un saloon nel Nevada, mancano solo i cumuli di sterpaglie che volano via guidati dal vento. Non c’è l’ombra di un essere vivente, tranne il ragno che ha fatto suo l’estremo angolo alla destra della biglietteria. Non c’è il bigliettaio e nemmeno il biglietto, non ci sono guardie, non c’è il custode e nemmeno la sagoma di una “fica”, non c’è nessuno. Solo dopo dieci minuti i primi calciatori iniziano a calpestare gli abbondanti 15 centimetri di erba.

E’ una gara senza significato, senza storia, senza spettacolo, senza motivazioni, tali da far “gridare” ad ognuno dei cinque gol messi a segno dai rossoblu. Non tanto perché non sappiamo accontentarci, anzi, più che altro perché ci sembra assurdo gioire di una vittoria così, contro un gruppo di ragazzi che accettano domenica dopo domenica il drammatico risultato del campo con un’umiltà da fare invidia a qualsiasi “squadra di campioni”. E mentre gli altri sfiorano la doppia cifra, loro sono lì, con i colori che amano addosso, consapevoli che perderanno l’ennesima partita, ma non perderanno mai l’onore.

In essi ci siamo rivisti, in essi abbiamo rivisto il nostro animo, la nostra passione, il nostro orgoglio, che ci fa continuare su questi gradoni, oggi come ieri, forse più di ieri. Perché ciò che conta davvero è fare quello che la mente suggerisce, senza troppe domande, senza il bisogno di trovare una risposta.

Perché ancora oggi, a distanza di anni, non siamo riusciti a dare una risposta che possa spiegare il nostro incondizionato amore! Non chiamateci “pazzi”, ma chiamateci “innamorati folli”, perché l’amore è nulla senza follia!

In casa con l’Arzachena

Siamo fatti così!

Una di quelle domeniche che iniziano il sabato notte, quando senti suonare il cellulare che poggi sempre sullo stesso comodino, sperando che non sarai costretto ad alzarti dal letto per rispondere alle solite “chiamate moleste” che arrivano sempre quando stai per chiudere gli occhi. Ti verrebbe anche di non rispondere, ma ormai sei abituato a questi orari insoliti e ci passi sopra, perché conosci il tuo interlocutore e per lui, l’una di notte corrispondono alle nostre dieci del mattino.

Ti chiama per ripeterti all’infinito, visto che è già la sesta-settima volta che te lo dice, quale sarà il menù del giorno dopo. Lasagna, straccetti con rucola, zucchine, girello con carote ed a chiudere insalata, tutto rigorosamente cucinato a dovere dalla mamma, mica da lui, che ancora oggi millanta anni ed anni di esperienza come cuoco, cameriere e lavapiatti. A sentirlo, non c’è piatto che non conosca.

La domenica mattina è già su di giri, quasi come se dovesse cucinare lui, come se dovesse stupire Carlo Cracco al MasterChef, ma a tavola si limita a portare le pietanze come solo “uno che fa catering da quando è nato sa fare”.

Quando sono da poco passate le 14, ci lecchiamo i baffi e facciamo un lungo applauso alla signora, per dirigerci al “Purificato”. Barcolliamo e siamo visibilmente appesantiti, tanto che sarebbe il caso di abbinare il tutto ad un meritato riposo domenicale, ma ci aspettano le gloriose maglie rosse e blu e non ci piace farle aspettare.

Al “Purificato” va in scena la penultima gara casalinga della stagione, avversario di turno l’Arzachena, con due piedi, le scarpe e pure i lacci in Eccellenza, ma che all’andata ci fece soffrire come nessuno è riuscito a fare in questo campionato.

I termometri sfiorano i venti gradi centigradi, ma dal mare viaggiano veloci nuvoloni neri che ben presto coprono il prato del “Purificato” e buttano giù tutta la loro rabbia. Ne risente anche il tifo, che a metà Aprile deve ancora fare i conti con la pioggia. Ma mai come questa volta, provvidenziale risulta il doppio fischio della giacchetta nera, che ci permette di rifugiarci nei bagni, almeno per i consueti quindici giri di lancette. Peccato però che l’intervallo sembra durare meno del previsto e ci basta veder solo una maglia rossoblu calpestare l’erba per tornare subito al “nostro posto”.

Sul campo otteniamo una vittoria importantissima per dire “addio” al pericolo play out e guardare con ottimismo le tre gare che mancano da qui alla fine. Sugli spalti “volano liberi” rutti dal sapore di girello, che non riescono a nascondere l’abbuffata di poche ore prima. Smesso di piovere, il tifo ritorna su livelli accettabili, ma certo, così gonfi e senza nessun avversario di fronte, di più proprio non si poteva chiedere.

 Con altri novanta minuti alle spalle, si ripongono gli striscioni nello zaino, si richiudono le telescopiche e si ripiegano i bandieroni. L’ennesima domenica di tifo e passione dietro i nostri colori, con le pance piene, l’ultimo bottone dei pantaloni sbottonato e nelle orecchie l’eco inconfondibile:”Lasagne, straccetti…”!

Siamo fatti così, che ci possiamo fare?!?

La trasferta di Selargius

A noi della partita

non ce ne frega un cazzo!

La trasferta di Selargius, la quinta in stagione in terra sarda, inizia circa una settimana prima il suo culmine, quando nulla fa presagire un possibile anticipo al sabato e tutte le rassicurazioni ci indicano nella domenica il giorno nel quale si svolgerà la tredicesima di ritorno. Il numero ‘13’ potrebbe rappresentare un cattivo presagio, ma scaramantici non siamo e andiamo avanti senza indugiare.

Si rompono i salvadanai e si sfilano i bigliettoni dalle pagine del vecchio libro di Algebra, che da un bel po’ raccoglie i risparmi di una vita e li nasconde alle pupille nelle serate un po’ così, quando tutto sembra calamitarti lì sulla libreria.

Veniamo dissanguati da un biglietto a/r Ciampino-Cagliari, che di solito non va oltre i cinquanta euro, ma che paghiamo tre volte tanto perché la nostra ‘proverbiale fortuna’ vuole che nello stesso giorno ed alla stessa ora si giochi Cagliari-Roma. Riusciamo ad accaparrarci gli ultimi posti disponibili sugli unici voli utili per poter raggiungere la Sardegna, visto che quella che dovrebbe essere la compagnia di bandiera, ovvero l’Alitalia, fa alzare in volo il suo ultimo boeing di giornata alle 17. Ecco, nella nostra tombola abbiamo anche il ‘17’, ma non ci facciamo intimorire. Ma ancora credete a queste cose?

Biglietti alla mano e sorriso stampato sul volto per esser riusciti a far nostri gli ultimi posti, non rimane che attendere con trepidazione la domenica. Questo è l’unico pensiero che ci balena in testa, almeno fino a giovedì, quando arriva l’ufficialità: Selargius-Fondi si giocherà sabato! Ecco, siamo fottuti!

Ora, non sappiamo se avete mai avuto a che fare con un cambio di biglietto aereo, ma se per caso avete avuto la nostra stessa ‘fortuna’, saprete sicuramente che conviene farne di nuovi piuttosto che cambiare un solo connotato su una prenotazione. Per curiosità e solo per essa, chiediamo quanto verrebbe a costare un giochetto del genere e la risposta è qualcosa come due bigliettoni verdi a testa!

Per ‘manifesta indisponibilità’ si opta per il piano B, che prevede l’acquisto di biglietti nuovi di zecca, ma nel frattempo, a sole quarantotto ore dal sabato, i prezzi sfiorano quelli di una bottiglia di Dom Pérignon.

Abbiamo già speso un botto, senza riuscire a chiudere il cerchio e tra appena undici giorni saremo chiamati a presenziare in quel di Porto Torres, per la ‘gioia’ dei nostri miseri risparmi. Tra undici giorni, precisamente il ‘17’, giovedì 17, giorno lavorativo e quindi niente lavoro e quindi niente paga e quindi ‘cazzi amari’!

Si opta per il piano C, c come “cazzi nostri” perché se la Società ha scelto di giocare al sabato, senza preoccuparsi minimamente dei nostri soldi andati in fumo. E’ giunto il momento di pensare a Noi stessi, fregandocene del fatto che i rossoblu scenderanno in campo senza nessuno di Noi sugli spalti.

Del Fondi che gioca e vince di sabato al “Porcu” di Selargius, ne facciamo a meno, almeno per una volta. Noi, invece, sveglia alle 05:00 del giorno dopo e partenza destinazione Ciampino, con tanto di pezza e sogni nello zaino. Partiamo col sorriso tra i denti e la passione di sempre, ma ad attenderci non ci saranno partite da seguire e rossoblu da sostenere. Ma non ce ne frega un cazzo e partiamo lo stesso!

La Ryanair mette a dura prova gli ‘over size’ e se soffri di claustrofobia vomiti appena prendi posto. Le hostess ti venderebbero anche il culo se i bagni permettessero amplessi e quella lì con gli occhi verdi è da quando siamo saliti che non faccio altro che fissarla. L’altra, invece, sembra averla d’oro tanto è concentrata in quello che fa, come se a muovere le braccia e fare avanti e indietro tra le file di sedili fosse cosa assai difficile.

Nemmeno terminiamo di leggere il magazine di bordo che già siamo dall’altra parte del Tirreno, dove cerchiamo di staccarci nel più breve tempo possibile dal resto dei passeggeri, che sono in larga parte ultras giallorossi, così da evitare controlli, ma non riusciamo a sfuggire all’occhio della telecamera che una solerte funzionaria della digos ci punta addosso con avidità.

Prendiamo il primo bus ed in venti minuti scarsi siamo in Città, dove la ‘nuvola Fantozziana’ non ci abbandona nemmeno per un attimo, bloccando prima i mezzi pubblici fino alle 11:30 per via della maratona cittadina e poi rendendo inutilizzabili i nostri ticket per il Cagliari-Selargius dell’Arst che di domenica non effettua corse. E’ qui che capiamo che una grattatina di coglioni può essere più efficace di un ferro di cavallo come portachiavi.

Una volta a Selargius, ci muoviamo come se nessun anticipo avesse mandato all’aria i nostri piani ed alleviamo i ruggiti dello stomaco in un generi alimentari lì vicino. Peccato solo essere arrivati tardi per una gara di allievi disputata affianco al “Porcu”, ma a quel punto, sarebbe stato davvero troppo.

Tornati a Cagliari, ci sollazziamo seduti ad un bar, mentre dei rom si immortalano con dei selfie e dei punk si pisciano addosso. Per la prima volta e con gran goduria, apriamo e leggiamo L’Unione, che non può far altro che dare spazio alla vittoria dei rossoblu. Per la prima volta non dobbiamo sorbirci i suoi ‘partigiani pronostici’. Prima di tornare ad Elmas, c’è tempo per una Ichnusa bella fresca, sorseggiata all’ombra di Piazza Yenne, osservati a distanza dalla statua di Carlo Felice.

Per rimanere in tema ‘capitano tutte a Noi’, ci si mette anche il rilevatore termico dell’aeroporto, che vede nelle nostre scarpe un potente agente chimico e ci costringe a camminare scalzi sotto il metal detector. Roba da matti, ma non è ancora finita! Già, perché a bordo siamo seduti affianco ad una suora che, credendolo forse un dono di Dio, si siede proprio al mio posto, sfalsando la fila e costringendo una donna sui quaranta a sedere altrove. Come se non bastasse, la suora russerà per tutto il viaggio e menomale che ad interrompere il sonno ci penserà il pilota che non ha ancora tanto chiaro il concetto di “atterraggio”.

Assonnati e sfortunati, mettiamo i piedi a terra col sorriso sulle labbra, perché un altro viaggio è andato, un’altra trasferta è finita e poco importa che non c’era nessuno ad aspettarci, poco importa che non abbiamo visto un solo minuto di partita, poco importa che non abbiamo esultato e gioito, perché in fondo è altro che ci interessa, perché a Noi della partita non ce ne frega un cazzo!

In casa con il San Cesareo

Che importa se…

Ed è arrivato il sole, lì alle nostre spalle, come d’abitudine da quando il nostro posto è dietro la porta che guarda le case scomparire tra le montagne. La temperatura sale e le sciarpe vengono riposte nei cassetti, per far posto a t-shirt e cappellini. Di acqua ne abbiamo presa abbastanza dallo scorso agosto fino ad oggi ed il tepore dei primi raggi primaverili è quasi come sentirsi addosso le mani di una massaggiatrice thailandese.

Affrontiamo la prima della classe, che secondo il nostro modestissimo parere, assieme alle altre due che formano il terzetto di testa, a quella che fu la squadra guidata da Liquidato possono al massimo fare il nodo ai lacci delle scarpe. A dire il vero, anche gli uomini di Mister Pascucci fanno la loro splendida figura al cospetto dei primi e se questi guidano la classifica, non è difficile immaginare come in pochi anni sia sceso notevolmente il livello di questa categoria.

La maggior parte dei nostri in campo ha alle spalle stagioni poco esaltanti, una fila interminabile di panchine, infortuni o campionati giovanili, il che la dice lunga sui differenti valori in campo, eppure…

Eppure, quelli che quest’anno hanno l’onore di indossare quei magnifici colori rossoblu, combattono fino all’ultimo minuto, fino a quando la giacchetta nera si porta il fischietto alla bocca per metter fine alle ostilità. E’ proprio il caso di dire che a questi ragazzi non si può rimproverare nulla.

Beh, sì, qualcosa da correggere c’è, ma non abbiamo atteso la fine del campionato per mettere le cose in chiaro. A Marino, dopo una prova incolore, li abbiamo tenuti per venti minuti a colloquio e lì , osservando i loro occhi ed i loro volti, abbiamo capito una cosa.

Abbiamo capito che non si può chiedere di più a questi ragazzi, che solo i limiti ne fanno una squadra da metà classifica, ma che come orgoglio e cuore sono da primato. La maggior parte di loro vive e gioca a calcio a chilometri di distanza dalle famiglie e dagli affetti ed ogni primo del mese non hanno lo stesso numero di zeri dei colleghi di altre città.

Altrove riceverebbero cori ad personam, di domenica in domenica. Altrove verrebbero osannati come star sulla passerella degli oscar. Altrove sarebbero già ‘intoccabili ed insostituibili’. Altrove, ma non qui da Noi, dove si tifa solo l’unione di quei due colori sulle maglie che indossano. Non qui, dove chi scende in campo è solo una comparsa di un lungo film che ha due soli protagonisti, il rosso ed il blu.

D’altronde, chi scende in campo sta facendo solo il proprio dovere, stazionando una spanna sopra la metà classifica, ad un passo dalla matematica salvezza. Questo è ciò che abbiamo chiesto ad agosto, con la fronte sudata ai trenta gradi all’ombra della tribuna coperta di Chianciano; questo è quello che ci aspettiamo e che sta per realizzarsi. Poco, molto poco. Poco, ma ce lo facciamo bastare, perché la cosa che conta è l’amore per quei colori e non una classifica che non tiene conto di orgoglio, cuore e passione…la nostra passione!

La trasferta di Genzano

Perseguitati dalla sfortuna

Dici “Genzano” e si oscura il cielo, con nuvoloni grigi e freddo pungente, dopo una settimana di guardaroba primaverile rispolverato in fretta e furia. Dici “Genzano” e cerchi di non ricordare le tre pere che per poco non ci fecero perdere il treno della Serie C. Dici “Genzano” e ti gratti le palle, perché nei novantuno chilometri che ci separano dal ‘Comunale’, di sicuro incroceremo gatti neri e specchi rotti.

Genzano non riporta alla mente null’altro che non sia una sconfitta, di misura o con largo scarto, ma sempre senza punti siamo andati via da lì, mai con una gioia in tasca. Genzano non ci ha mai “regalato” nulla e se andiamo indietro nel tempo, 2004 forse 2005, viene fuori anche una “segnalazione” durata più di un’ora, che solo per una botta di culo non ci tenne lì tutta la notte.

Dici “Genzano” e ‘boom’! Ci fermiamo nel primo spiazzo, che altro non è che l’incrocio per Latina Scalo, più che altro per provare se i broccoletti che riempiono i nostri panini siano davvero “zucchero”, ma nemmeno il tempo di risalire a bordo che …”Porcaputtana!!!”

Crrrr! Crrrr! Una, due volte, la chiave nel quadro ‘sfarfalla’ e l’auto non parte. “Ecco, siamo fottuti!”. Ci rimbocchiamo le maniche e spingiamo, ma la strada è in salita e l’auto ci pianta nel bel mezzo dell’incrocio. Ci riproviamo e finalmente i cavalli tornano a nitrire, ma stavolta, prima di risalire a bordo, ci strofiniamo le palle fino a consumare i jeans.

Si riparte ringraziando il Santo protettore ed in carrozza inizia una lezione di Meccanica e Manutenzione, che tiene banco fino alle porte di Genzano, dove come la campanella, arriva un chioschetto a salvare i poveri alunni ad un passo dalle convulsioni. A turno si va al cesso, rigorosamente chiuso a chiave e chiave da chiedere in ginocchio al barista, che ci rifila un caffè niente male.

Prima di ripartire, si cammina scalzi sui carboni ardenti e come pegno si fa la solita promessa di tornare a messa alla prima occasione utile, pur di sentire l’auto partire senza problemi. Naturalmente, ci rimangiamo tutto quando la prima dà il via alle danze senza capricci. Da lì al ‘Comunale’ saranno al massimo 4-500 metri ed in un attimo siamo fuori.

Già, proprio così, proprio fuori il settore ospiti, dove rimarremo per tutti e novanta i minuti. Oggi entrano solo gli abbonati del club di casa, quindi, senza far troppe storie, ci piazziamo ad un passo dal settore ospiti, dove un’aiuola ci strizza l’occhio meglio degli spalti. Ormai il nostro destino sembra segnato, così che divieti e restrizioni “nascono” un giorno prima il nostro arrivo, come se fossimo ancora in C. Menomale che, a star fuori, ci siamo abituati.

In campo, dopo l’ottima prova di sette giorni prima, sembra esser tornato il Fondi brutto ed arrendevole del girone di ritorno, che ha dimenticato come si gioca a calcio e rischia di venir risucchiato nelle zone centrali della classifica, dove un punto non serve a nessuno e tre ti permettono di avere un “battito regolare”.

Genzano è sinonimo di sconfitta ed anche questa volta andiamo via a bocca asciutta e con i vestiti fradici. Prendiamo due gol, un cartellino rosso e tanta pioggia, che non fanno altro che confermarci che ferri di cavallo, jeans consumati e amuleti non servono a nulla contro la dea Cynthia. Genzano è la nostra “bestia nera”, non c’è nulla da fare.

Tornati alle auto, quello che ci preoccupa di più non è la classifica, ma se torneremo o meno a casa. Il segno della croce è solo un gesto di buon auspicio mentre la chiave entra e compie i canonici 180°. Un “Bruum Bruum” rassicurante ci toglie il respiro e la strizza va via. “Siamo salvi, almeno per il momento!”.

In casa con il Terracina

Coerenza e stile

Era il Giugno di quattro anni fa e sugli spalti della gradinata del “Purificato” i raggi del sole arroventavano  i primi scampoli d’estate. Sul campo il Fondi fresco di Serie C, impegnato nell’inutile Poule Scudetto contro la Neapolis Mugnano di Moxedano. Sugli spalti tanto colore, bandierine, telone ed uno striscione così bello e significativo che avrebbe fatto la sua porca figura anche ad altre latitudini. Il tutto per un’inutile gara di fine stagione, senza coriandoli e telecamere…solo per Noi stessi, quasi un “premio” di onorata carriera.

All’ingresso in campo delle squadre, proprio mentre il telone veniva giù, molti di Noi sapevano che quella sarebbe stata l’ultima volta, l’ultima volta che avremmo colorato il “Purificato”. Eppure, di occasioni ne abbiamo avute tante nella stagione successiva, con un calendario che ci aveva proposto in fila indiana Avellino, Brindisi e Latina, con una Curva Iacuele che aveva risposto “presente” ed una Città che sembrava essersi svegliata dal “sonno eterno” che la contraddistingue da secoli.

Avremmo potuto stupire ogni domenica, bastava solo compilare un modello prestampato da sottoporre ai “controllori” in divisa. “Ma sì, cosa sarà mai sottoporre ad accettazione una coreografia?” avrebbero pensato altri, al nostro posto. Una coreografia, lo spettacolo più emozionante che possa essere rappresentato dallo spicchio di uno stadio occupato dagli ultras. Una coreografia, fantasia ed estro capaci di meravigliare il resto dello stadio. Una coreografia, la madre di tutti i segreti, realizzata da pochi perché pochi devono sapere. Come può una coreografia, passare sotto la lente d’ingrandimento dei nostri “controllori”? Come si può scendere a patti con chi reprime, solo per il gusto di apparire?

Scegliemmo di non dichiarare striscioni e pezze, riuscendo solo in rare occasioni ad appenderle alla balaustra. Scegliemmo di non realizzare alcuna coreografia, neppure per le grandi occasioni, quando gli occasionali diventano “ultras” e gli ultras si lodano di numeri e presenze massicce. Scegliemmo di andare avanti per la nostra strada, rinunciando a prime pagine, lustrini e papillon. E se oggi ci chiedessero se rifaremmo la stessa scelta, non ci penseremmo su due volte…”certo che rifaremmo la stessa scelta!”.

A distanza di ormai quattro anni, siamo tornati a colorare il “Purificato”, tenendo fede al nostro modo di essere, che potrà anche non piacere, ma che ci inorgoglisce, perché Noi non dobbiamo piacere ad altri, ma a Noi stessi.

La “colletta” in Curva per racimolare i fondi necessari; la spesa parsimoniosa come “casalinghe incallite”; i rulli, i guanti e l’acquaragia; la vernice che fa le bolle  e non si secca; la bobina di carta e lo scotch a prova di incisivi; l’idea dalla quale parte tutto; le solite preoccupazioni ed i soliti dubbi; la manodopera che latita e la mano di tutti; il freddo della sera ed il raffreddore che scompare dopo aver sniffato lo smalto; le pedate sul bianco ed i contorni fatti a mano; la corda che non basta, ma la si fa bastare; l’attesa ed il sonno perduto; il tempo clemente e gli scongiuri; l’idea che si realizza; gli umori contrastanti e “i sciarr”; il tempo che passa e la gara che si avvicina; l’entrata in campo ed il via allo spettacolo; le grida, i cori e tutto ciò che una coreografia ti lascia dentro, compreso lo sguardo ammirato di chi è in campo.

Retrocessi nel peggior modo possibile dopo tre stagioni di merda in C; settimi in classifica; lontanissimi dai primi ed ormai lontani anche dai play off; nel peggior momento dei nostri dieci anni di vita…ecco di cosa siamo capaci! Ecco chi sono gli Ultras della Iacuele!

La trasferta di Marino(N.S.M.Mole)

In tutti i luoghi, in tutti i laghi

Per Noi “ritardatari cronici” fa strano partire con largo anticipo, ma ci proviamo lo stesso, tanto un motivo per perdere tempo lo si trova sempre. “E se proprio dovessimo accorgerci che siamo lì, a pochi chilometri dalla meta, quando ancora devono scoccare le 14, un bar dove far passare i minuti lo troviamo, ecchecazzo!” Ripenseremo a lungo a questa frase quando giunti in netto anticipo al “Fiore” di Marino, ad aspettarci troveremo solo guardie e preservativi usati, imprecando i tre quarti dei Santi del Calendario.

Un tiepido sole punta dritto sulla nostra strada ed i 20 gradi centigradi sono un piacevole intermezzo in questo “pazzo” mese di Marzo. A Marino non siamo mai stati ed in passato, solo una volta abbiamo incrociato quello che fu il ‘Santa Maria Mole’, ma non qui al “Fiore”, anche se quel mercoledì di Coppa Italia arrivammo comunque ad uno sputo da qui, per colpa di qualcuno che ancora oggi è convinto che si giocasse a Marino…

Il viaggio fino a Velletri fila via liscio come l’olio, come l’olio d’oliva che trabocca dal girello che riempie due fette di pane casereccio che ci strizzano l’occhio dietro il sedile. Gli stomaci brontolano ed una volta lasciato alle spalle Viale Roma, nemmeno il tempo delle “presentazioni” con la Strada Provinciale 217, che ci fermiamo nel primo spiazzo alberato. Nella concitazione, non ci accorgiamo nemmeno che siamo entrati in una proprietà privata, con tanto di cancello settecentesco e tenuta da far invidia a Briatore.

C’è una striscia d’asfalto che scompare tra i pini, mentre a destra un sentiero si perde tra gli abeti…”ma ndò cazz’ amm’ captat’?!?”. Non scorgiamo ville o casolari, almeno fin dove arriva la nostra vista annebbiata, mentre sul cancello fa bella mostra un “attenti al cane”. Cane che non vedremo mai arrivare, nemmeno dopo aver sbranato girello e affini. Gli unici a farsi vivi, saranno i quattro occupanti di una Multipla, forse i proprietari della Contea, inorriditi dalla visione di gente che sembra non mangiare da una vita e che rutta peggio di un camionista sulla tratta Bressanone-Villa San Giovanni.

Dopo aver innaffiato i fiori di campo, si risale sulle auto e prepariamo gli occhi per ammirare lo spettacolo che riserva la Via dei Laghi. Quello di Nemi non riusciamo a scorgerlo dietro la folta vegetazione, ma quello di Albano si mostra meglio di una donna, in tutta la sua bellezza, in tutto il suo fascino, che raggiunge il culmine nelle giornate che anticipano la primavera, proprio come domenica. Lo ammiriamo dall’alto, “zigzagando” nel traffico che da queste parti è normalità, tra centauri e famigliole in libera uscita.

Il tempo di svoltare a destra e siamo a Marino. Due incroci ed ecco il “Fiore”, ristrutturato da poco, dopo essere caduto in disgrazia negli anni del post “Italia ‘90”. Qui Azeglio Vicini “costruì” l’Italia che poi chiuse terza alle spalle di Germania ed Argentina.

All’ingresso le solite “tarantelle” ed un dispiegamento di FdO inutile per una gara che alla fine conterà non più di cinquanta spettatori. Il classico biglietto da ‘10 euro’ e siamo dentro, dove hanno ripulito tutto tranne i cessi, pieni di merda anche sulle pareti, nel vero senso della parola.

La gara è un’agonia, con i nostri che hanno lasciato nel girone di andata mordente e cattiveria, indispensabili in qualsiasi girone di ritorno per togliersi in fretta dalle zone pericolose e puntare ad altro. Andiamo in vantaggio al novantesimo, ma ci raggiungono nel recupero, giusto per rendere ancora più corposa la lista dei rimpianti.

Noi facciamo il nostro. Potrebbe bastare la presenza, ma andiamo oltre come sempre ed incitiamo per tutta la gara, senza risparmiarci, malgrado il tiepido sole quì se la sia “data a gambe” già da un pezzo. Al triplice fischio chiamiamo tutti sotto da Noi per mettere in chiaro alcune cose, che è sempre meglio ricordare a chi le avesse già dimenticate e fa “tenerezza” vedere il guardalinee, ad un quarto d’ora dal termine, chiedere a Mister Pascucci di rientrare negli spogliatoi.

Prima di ripartire, tocca accontentare i più “romantici” con una foto “vista lago” e disturbiamo due innamorati prossimi a lasciarsi per il ‘clik’. Lei, mentre scatta, chiede anche “Di dove siete?”. Rispondiamo in coro “FONDI!”. Che dite? Avrà capito?

In casa con il Latte Dolce

Le nostre vittorie

Ci sono stagioni in cui tutto sembra scivolare via senza soste ad incroci a semafori lampeggianti. Stagioni in cui ti ritrovi ad un passo dall’epilogo, senza aver avuto nemmeno il tempo di ricordare con piacere una gara, una trasferta, una rete, un’esultanza.

Che non fosse un campionato esaltante questo, lo si sapeva ed a dire il vero non ce n’è mai fregato più di tanto. Siamo sempre stati abituati a guardare il lato positivo delle cose, anche quando la scorsa stagione, retrocessi da Febbraio, seguivamo lo stesso i rossoblu, dentro e fuori, con lo stesso “chiodo fisso” di sempre, senza cogliere la palla al balzo per restarcene a casa a far la muffa sopra il divano.

Sarà che quando le cose vanno male, quando tutti voltano le spalle e la Città “vomita sentenze”, a Noi piace andare controvento, tanto alle chiacchiere siamo abituati e degli altri non abbiamo mai avuto bisogno, nemmeno quando c’era da riempire i vuoti del “Purificato”…che poi sono gli stessi vuoti visti ovunque, solo che altrove sono bravi a camuffarli.

E’ proprio quando “si mette male”, quando ai più “cala il desiderio”, quando anche potare l’albero in giardino “tira” più che i rossoblu in campo, che qualcosa in Noi ci dice di rimanere ben saldi sugli spalti. Ci siamo abituati, ecco perchè siamo sempre stati al nostro posto. Ormai abbiamo perso la “cognizione della sconfitta” al punto tale da sperare che ogni gara sia sofferta e che un gol per i nostri arrivi a pochi giri di lancette dal novantesimo.

L’abitudine a soffrire, alle sconfitte, a stagioni a dir poco disastrose, forgia meglio di un campionato ricco di soddisfazioni. La sofferenza nel veder “maltrattati” i nostri colori ci ha reso quello che oggi siamo. Ce ne accorgiamo quando per un Fondi-Latte Dolce di Serie D, paragonabile ad un’amichevole estiva, sugli spalti della Iacuele ci sono una trentina di “ragazzi”. Chi ormai ad un passo dal “pre-pensionamento”, chi alle prime armi, ma tutti uniti dietro lo stesso striscione, a muovere bocche e braccia all’unisono, cantando gli stessi cori, amando gli stessi colori.

La soddisfazione nel vederli al nostro fianco è stata palpabile, ancor di più perché alzando  gli occhi ci siamo accorti che a dominare il cielo c’era un grigio scuro poco rassicurante, con tonalità tendente al “mò fa la fin’ d’ ju Munn’”!

Sono passati anni, tanti anni dalla prima apparizione dello striscione, ma guardarlo domenica lì in balaustra, davanti a quella trentina di “testardi” che non vogliono saperne di dire “addio” è stata un’emozione indescrivibile, tale da far tornare il sorriso sul volto di chi ormai non gioisce più per una vittoria, perché le vittorie, nel nostro Mondo, sono queste!