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Dicembre ’06

Sottotitoli dicembre’06

Condivisione di un ideale, condivisione di valori e stili di vita, condivisione di pensieri e rivendicazioni. “Stesso sguardo, stesso amore, stessa lingua, stesso colore”, oddio, a dirla tutta è il colore che muta, le sfumature però restano invariate, ed accomunano sotto la bandiera ultras tutti i giovani del pianeta che hanno scelto questa strada. Da alcuni tracciata sull’onta della clandestinità, per altri divenuta poi squallidamente fonte di guadagno, per altri ancora motivo di privazione della propria libertà personale. Agli albori però simile a tutti ed inequivocabilmente perversa passione. Da questa riflessione nasce il sottotitolo del mese di Dicembre, che inoltre fungerà da passaggio di consegne con il nuovo anno, ed allora la frase scelta non faticherà a travestirsi da augurio per tutti coloro che si riconoscono nel nostro mondo. “Lunga vita agli ultras” quindi, e grazie a chi ha coraggiosamente lanciato lo scorso anno in tutti gli stadi della penisola questo semplice ma significativo affondo, gli atalantini, da sempre una delle migliori curve del panorama ultras italiano. Slogan, anche se è fin troppo riduttivo definirlo tale, ripreso da molte altre realtà in striscioni ed adesivi, e che rende l’idea di quanto sia prezioso e proficuo il confronto tra gruppi organizzati altrettanto quanto la solidarietà e la capacità di schierarsi insieme dalla stessa parte della barricata nelle grandi battaglie a difesa della propria fede. Contro la repressione, contro il calcio moderno, contro tutto ciò che nel corso degli anni ha rovinato e distrutto la parte buona del pallone, contro la parte marcia che non ne vuol sapere di farsi da parte, contro i potenti che solo apparentemente hanno perso al momento le redini e arrancano.

Lunga vita allora all’unica parte pulita del calcio, all’unica componente che paga sempre e comunque, a coloro che sia in caso di vittoria che in caso di sconfitta sono gli unici a rimetterci sempre, in salute, risparmi, diffide, denunce, segnalazioni. Lunga vita agli ultimi baluardi di una razza che qualcuno vorrebbe in via d’estinzione. Lunga vita a chi sta scomodo seduto, a chi se non può venire in trasferta ti chiama ogni cinque minuti e non per conoscere il risultato tanto per sapere se si canta alla grande e se ci sono ultras dall’altra parte, a chi per un anno intero nonostante la diffida in tasca s’è fatto tutte le partite in mezzo a noi rischiando davvero, a chi non si scandalizzerà vedendo nello stesso post una riflessione proveniente da un ambiente umano tendenzialmente di sinistra, come quello bergamasco, ed un ritornello virgolettato che sulla sponda opposta traccia le note di una delle canzoni meno politically correct. Anche questo è il nostro mondo, fatto di estremo rispetto reciproco, lealtà, solidarietà. Lo sguardo è quello, quello del ribelle, del disadattato, del cuore che batte per fatti suoi e piange se il resto della massa ride e ride se il resto della marmaglia fa finta di piangere. L’amore è immenso, il nostro, incommensurabile, incalcolabile ed è un’addizione continua che sforna il totale clamoroso della fede che nel cuore di ogni ultras alberga. La lingua è universale, può cambiare nelle pronunce, nei dialetti, nei proverbi, ma è la stessa davvero: il pensiero, le teorie, le rivendicazioni, le azioni. Il colore, questo sì, cambia, ma permetteteci di considerarlo un dettaglio, almeno in questo contesto. Un dettaglio adesso ed un aspetto fondamentale quando ci si trova gli uni di fronte agli altri, quando il rispetto e la lealtà restano ma si aggiunge a questi fattori la forza prevaricante dell’appartenenza e la rivalità non conosce attenuanti o rinvii.

Maturità allora, consapevolezza del proprio ruolo, voglia di superare le diversità per combattere in trincea le ingiustizie che hanno colpito, colpiscono e colpiranno tutti indistintamente. Paradossalmente ha contribuito a far crescere questo sentimento di condivisione proprio l’azione dello Stato, tesa nelle intenzioni a desertificare gli stadi, a distruggere le curve, ad annientare gli ultras, in qualsiasi categoria ed in ogni città. Le leggi ed i decreti hanno messo tutti sulla stessa barca, tutti sotto assedio, ed in maniera naturale le voci dei singoli hanno iniziato ad unirsi tra loro. Si sono moltiplicati i raduni ultras, sono nate associazioni parallele, da alcuni apprezzate e da altri considerate fonte di ipocrisia e sputtanamento. A Milano nel 2003 ed a Bologna l’anno dopo le manifestazioni unitarie col maggiore seguito e successo di partecipazione. Sono allora avanzate sfortunatamente anche sigle vicine alla politica e questo ha contribuito a penalizzare non poco il movimento: più di qualcuno s’è stufato e la prorompente voglia di strumentalizzare anche le battaglie degli ultras ha creato sfiducia e mancanza di credibilità. A rimetterci, ancora una volta, chi voleva cambiare rotta e coagulare le forze per alzare la voce in maniera possente… peccato! Si è poi arrivati addirittura a vedere in tv rappresentanti degli ultras di alcune curve italiane ergersi a palatini della giustizia, ma questo non ha rappresentato un momento esaltante per la scena tricolore, anzi. A tutto c’è un limite, ed è per questo che preferiamo siano altri i terreni su cui confrontarsi, altre le tematiche, altri gli interlocutori, anche perché un Vespa o, peggio, un Santoro non potranno mai immedesimarsi nei panni di un ultras, e meno male aggiungiamo noi! Biscardi, a meno di clamorosi ritorni, sembra fatto fuori, ora tocca agli altri. Mentana, Sconcerti, Piccinini e tutti i moralisti e benpensanti della tv.

A chi, come noi, trascorre la propria settimana nell’attesa spasmodica della domenica per tornare allo stadio o partire per la trasferta… lunga vita! A chi chiede a Babbo Natale una curva, un proprio settore… lunga vita! A chi non si arrende, a chi suda anche d’inverno, a chi canta solo allo stadio, a chi per difendere un suo fratello rischia la vita, a chi affronta lealmente il nemico, a chi finisce tardi di lavorare e si mette da solo in macchina per raggiungerci, a chi “altro giro, altro gioco”, a chi per una torcia è costretto a firmare ogni domenica, a chi s’affitta l’appartamento a due passi dallo stadio così anche se diffidato può vedersi lo stesso la partita e sventolare la propria bandiera dal balcone di casa, a chi? A Noi, a chi 6 su 7 ed a chi 8 su 7, a chi parla il nostro stesso linguaggio, a chi ha il nostro stesso sguardo, a chi ama come noi, a chi ha il nostro colore ed anche a chi ha altri colori, a chi stiamo simpatici ed a chi stiamo sul cazzo… lunga vita! Perché un ultras è un ultras.

Novembre ’06

Sottotitoli novembre’06

E sì, vecchio stampo, vecchio calcio, e soprattutto vecchie maniere. Semplice sì ma profondamente significativo il Sottotitolo che va in scena da oggi e ci terrà compagnia per tutto il mese di Novembre. Terzo appuntamento della rubrica più filosofica, passateci il termine, del nostro blog, che tra l’altro proprio nello scorso week-end ha raggiunto la soglia delle venticinquemila visite, ormai già abbondantemente superata. “old style, old football, old manners” perché questo è il filo conduttore del nostro modus vivendi, del nostro intendere la militanza ultras quotidianamente. Un inglesismo tutt’altro che casuale, e vi spiegheremo tra poco il perché di questa scelta. Scelta sicuramente dettata dal bisogno di esprimere uno stato d’animo in costante fomento, capace di prendere slancio in pochi istanti di fronte ad un inequivocabile richiamo. Calciofili? Sì, è innegabile, conviene ammetterlo. Confessiamo spudoratamente! Non accettiamo paragoni però, questa è una malattia che non conosce medicinali tantomeno prevenzioni, è un vizio che non può essere nemmeno lontanamente equiparato a nessun altro delizioso, maledetto o perverso piacere, è una passione che cresce dentro parallelamente alla tua carta d’identità. Un cancro che ti corrode lo stomaco, ti spella le mani, ti abbronza la pelle, ti bagna come una sedicenne alle prime armi. E ti arrapa come una scena erotica del maestro Brass, ti innervosisce per una bandierina sventolata quando il tuo attaccante sta per metterla dentro, ti delude per un rigore sbagliato al novantesimo, ti travolge se la palla finisce in rete e manca poco al termine, ti annienta se hai la trasferta mattutina dopo l’ennesima notte insonne. Ma te ne freghi e timbri il cartellino! Eccert!

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Ed allora ripensi a quelle fotografie in bianco e nero che tieni appese nella cameretta o gelosamente chiuse nel cassetto, rivivi le domeniche in scarpettine da ginnastica numero 36, panino con la frittatina avvolto dalla carta oliata che più oliata non si può, la prima bandana messa al collo, ti cerchi nelle locandine revival che questi pazzi mettono in giro proprio per farti venire, in ogni senso e non solo allo stadio. Rivedi tuo padre che ti prende e ti mette sulle sue spalle per farti vedere meglio il campo, ricordi la prima bandiera che mamma ti ha cucito apposta per la partita con la prima in classifica, i borghetti e le birre che costavano quanto oggi costa una caramella del discount. E ti commuovi, perché il calcio è cambiato, ma non solo lui. Cambiata la gente, cambiata la minestrina, cambiato tutto! La maglietta sembra essersi scolorita dopo un lavaggio controvoglia, di gagliardetti nemmeno l’ombra, di divise blu però sempre di più ed ovunque. Lo stadio sembra un teatro, quelli che una volta erano tifosi oggi sembrano simpatizzanti o spettatori in vacanza al ForoItalico per gli internazionali di tennis. Non c’è più il grande Elio a commentare le partite, e quando scegli di piangere come un bambino senza lecca-lecca guardandoti quelle videocassette ti accorgi di come sia mutato anche il modo di raccontarla una gara, di emozionare la gente con una frase ad effetto. Non c’è più Antonio, non puoi ridere delle sue battute, non puoi offrirgli da bere per poi vederlo schiacciare la lattina con due dita, non senti più il suo boato, non puoi più vederlo scorazzare in tribuna vestito di rosso e di blu. Non c’è più il Fabiani, la bolgia infernale, il catino ribollente, c’è un deserto di ferro, desolante, ed un mostro di cemento abbandonato lì da diversi anni, la nostra PuntaPerotti, in attesa di essere buttato giù. Eccert!

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Scenario preoccupante, stimoli che fanno fatica ad emergere, prospettive poco rosee, ma sei ancora lì, non molli, non mostri il minimo tentennamento, hai scelto la tua strada. D’altronde “ciò che viene fatto per amore accade sempre al di là del bene e del male”, lo sai bene, e da questa frase di Nietzsche hai messo su il tuo credo, il tuo destino, il tuo passato vissuto che nel presente vive e nel futuro vivrà, convinto contro ogni logica della ragione che il domani possa riservarti momenti di gloria che tanto stai aspettando e desiderando. Anche se gli indizi, molto più di tre e quindi volendo mettere il dito nella piaga equivalenti a più di una prova, fanno rabbrividire anche il miglior cartomante del pianeta, anche se le previsioni spaccherebbero a metà la palla di vetro più infrangibile non fai un passo indietro, ormai ti sei dichiarato. Sei in guerra contro il calcio moderno, di poltrone non ne vuoi sentir nemmeno l’odore, di processi ed interviste te ne strafreghi. Non hai di fronte uno spumeggiante repertorio di giocate o tatticismi, l’obiettivo stagionale è difendere la categoria, si gioca quasi sempre alle 11 ed a volte addirittura di mercoledì o sabato, ma tu non hai ripensamenti. Non sei acqua minerale, non fai le bollicine, sei uno di noi, noi che “non siamo tanti, ma ultras tutti quanti!”. Noi che non siamo mai sazi, ci sgoliamo come si trattasse di scofanarci di fronte ad un tavolo imbandito, ci mettiamo in testa di cantare novantacinque minuti e poi cantiamo anche fuori dallo stadio, persino dopo uno 0-0. Noi appunto… vecchio stampo, vecchio calcio, vecchie maniere.

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Un taglio europeo dunque per un sottotitolo che alza il sipario, infine, su quello che sarà un evento particolare dedicato ai malati cronici che si cibano di “pane&pallone”, a chi come noi non ne vuol sapere di modernizzazione, progresso, evoluzione se questi tre termini vogliono essere legati al mondo che ama, a tutti gli inguaribili romantici del calcio e del suo elettrizzante contorno, di idee, movimento, aggregazione, valori. L’appuntamento in questione è previsto per il prossimo 24 Novembre, a Roma, organizzato da ActionNow, ente no-profit il cui link da più di qualche mese trova spazio nella colonna alla vostra sinistra, e rappresenterà un meeting per gli amanti di tutto ciò che il calcio del 2000 ha cercato invano di cancellare. Tra mostre fotografiche, presentazioni di libri, esibizioni, collezionismo risalente addirittura fino agli anni ’50, tanti ospiti d’onore e la consegna dell’importante Premio Europeo “ActionNow” nato con l’intento di premiare i modelli di esemplarità sportiva per le giovani generazioni. Biglietto da visita di tutto rispetto per una manifestazione unica nel suo genere che gode del patrocinio tra l’altro dell’Unione Europea, del Comitato Nazionale Italiano Fair Play, della Johan Cruyff Foundation, dell’Ambasciata britannica a Roma e degli enti locali e regionali. Evento cui naturalmente parteciperemo anche noi, eccert! 

Ottobre ’06

Sottotitoli ottobre’06

Secondo appuntamento con la rubrica dedicata ai Sottotitoli del nostro originalissimo blog. Mese di Ottobre che apre il sipario stanotte e nuovo affondo, nuovo diretto che ci terrà compagnia fino all’alba di Novembre. Come già spiegato in occasione del debutto di questo speciale angolo della nostra finestra internettiana, si tratta di un romanzo a puntate che offre spunti di militanza ultras, romanticismo sportivo e vecchie maniere, antichi valori ed inossidabili ideali, alterazioni mentali e stili di vita. Ed è proprio seguendo il filone del taglio del nastro, dedicato al mitico “Essere ultras… esserlo nella mente”, che prosegue il nostro viaggio. Sentiero percorribile solo se si è in possesso di tanta fede, passione, amore, volontà e disponibilità al sacrificio, praticamente solo se si è “veri ultras”, solo se si è leali e differenti, distanti e distinti, di un’altra pasta e di un’altra stoffa, diversi e strani, non omologati e non omologabili. “Merce rara” appunto, in un calcio dove a farla da padrone sono sempre e solo i denari, le capacità economiche, le tasche dei giocatori, il business legato alle scommesse, lo squallore del presunto progresso ed il buonismo dilagante.

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Sì, è ispirato a quel drappo della Sud di Roma il sottotitolo di questo Ottobre che non si preannuncia tanto meno caldo e umido del mese appena andato in archivio. Ispirato ad una pezza che per molti è equivalente ad un Comandamento, un diktat da rispettare ed onorare, sempre e comunque. Ha fatto storia, non lo si può e non lo si deve nascondere. Perché è alla base di tutto ciò che rappresenta nel mondo moderno l’ultras. “Una curva non è un ritrovo di squilibrati ma di pazzi per scelta” ha scritto qualcuno, aggiungendo che “in ogni città trovi i difensori della propria vita ed i figli della tv perché non tutti sono antagonisti. Antagonista non lo si è per scelta e soprattutto non lo si è per caso. Essere ultras non significa essere selvaggi (come piace pensare alle massaie ed ai giornalai). L’ultras nasce come sostenitore della propria squadra o meglio della propria città. I giocatori in campo in pochi casi sono considerati dei veri e propri leader meritevoli di un seguito (per così dire personale), il fine primario dei sostenitori rimane perciò l’attaccamento alla maglia. Incitare una squadra, infatti, non necessita un amore incondizionato nei confronti degli elementi di quella. Il tifo è una causa, non un mezzo. Essere in grado di urlare, sbeffeggiare o piangere vuol dire essere in grado di vivere ma soprattutto di mettere da parte l’indifferenza”.

 

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“La sofferenza di un ultras è la sua linfa vitale, le sconfitte della propria squadra non sono che vitamina per l’orgoglio della propria fede. Vi sembrerà un paradosso ma la maggior parte dei grandi tifosi nei tempi cupi rinvigoriscono il proprio amore per la maglia. Nei tempi amari decade ogni forma di imborghesismo del tifo e la selezione si fa naturale, allo stadio si vede bella gente. Il richiamo dei finti tifosi o dei modaioli è inesistente, lontano. In quei momenti ci sta solo chi ci crede, chi non molla. È vero che i tempi cambiano come cambiano le persone cha vanno allo stadio ma l’onore di rappresentare una curva non va sottovalutato ne dagli ultras ne dai semplici tifosi. Davanti al bene della curva non esistono scuse così come non dovrebbero esistere rammolliti. Affinché in curva si possa ridere e piangere è necessario il coinvolgimento di tutti. C’è differenza tra ultras e semplici tifosi perché un ultras non è un semplice tifoso. L’ultras è quello che si muove 7 giorni su 7 per la sua squadra, è quello che mette la propria passione davanti alla moglie ed al principale e che a lungo andare poi ne paga le conseguenze. È quello che se avesse risparmiato i soldi per l’abbonamento e le trasferte avrebbe potuto avvantaggiarsi con il mutuo della casa, è quello che ha imparato più dalla strada che dai libri e grazie alla propria intraprendenza ha trovato uno stile di vita. Stile come capacità di distinguersi, vita come incapacità di rassegnarsi. L’ultras è tutto questo ma non solo”.

 

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“Fuori e dentro il campo un vero ultras conosce il copione a memoria, guarda un film già visto, ha davanti a sé un libro aperto. L’ultras è quello che ha la laurea ad honorem alla facoltà di vita da strada. È l’uomo che non ha paura di essere uomo, è l’attore che non ha paura di essere protagonista. Nei periodi di crisi le polemiche nei confronti dei giocatori, degli allenatori, della dirigenza, degli arbitri e di chi sta dietro questi ultimi sono giuste, ma serve compattezza sia per non creare confusione sia per continuare a delineare gli ideali veri, tanto cari a coloro che li rappresentano nella propria vita vicino e lontano dallo stadio. Coloro che rappresentano ufficialmente i colori della squadra hanno come primo compito quello di rivelarsi seri e sensibili alla causa. La causa per un vero tifoso non sempre rivive nella vittoria, ma nell’agonismo che dovrebbe caratterizzare fondamentalmente i giocatori che scendono in campo. Gli ultras sono il popolo, parte della moltitudine, quella parte che quando combatte si trova inevitabilmente in prima fila. I cani che non abbaiano, quelli che se lanciano la pietra non nascondono la mano, ciò di cui il resto delle branchie avrebbe bisogno nel caso si svegliassero dal letargo, perché la squadra di calcio per molti di noi è parte integrante della propria identità. In certi casi è come parte del corpo; rischia di manifestarsi in fibrillazione o in mal di testa. Tanti ragazzi hanno un obiettivo nella vita, che sia sposarsi, trovare un lavoro, prendere una laurea, viaggiare, scrivere un libro, fare volontariato, imparare una lingua o far parte di un gruppo, poco importa. Quello che conta è sapere di aver sostenuto il proprio sogno, combattere in difesa dei propri ideali o almeno delle proprie idee. Gli ultras hanno un obiettivo comune contro cui lottare: la loro scomparsa”. Sì, avete capito bene, perché il problema maggiore della nostra Italia sono loro, siamo noi, gli Ultras. Eppure non si tratta ne di barbari, ne di pazzi, ne di alieni tantomeno di disperati senza lavoro o senza famiglia, si tratta di ragazzi che vivono la loro più grande passione in maniera totale, piena, senza tentennamenti, senza rimorsi, pensano ed agiscono, non tradiscono e non si vendono, e forse il “difetto” è proprio questo, chissà!

Settembre ’06

Sottotitoli settembre’06

Campeggiava nella Curva del Sant’Elia di Cagliari fino a qualche anno fa, oggi apre la nuova rubrica di questo blog rossoblu. Non uno slogan promozionale, tantomeno una frase ad effetto per accaparrarsi simpatie o apprezzamenti, bensì uno stile di vita, discusso e attaccato dai più, amato e difeso ad oltranza da ragazzi e ragazze che dedicano le loro giornate alla fede per una maglia, per una bandiera, per i colori della propria città. Eccolo allora il primo dei “Sottotitoli”, motti e massime, dritte e rivendicazioni, considerateli come meglio vorrete ma sappiate che terranno compagnia per un mese, prima di essere sostituiti con un nuovo significativo “affondo”.

“Essere ultras… esserlo nella mente” ha trovato spazio nel corso degli anni in moltissime curve italiane, e non solo in ambito calcistico. Nei palazzetti più di una tifoseria ha ribattezzato striscioni o stendardi assumendo come esempio quel lunghissimo striscione dei rossoblu di Sardegna. Noi abbiamo voluto scegliere quella frase così intensa e profonda per inaugurare la rubrica “Sottotitoli” ma anche e soprattutto per intraprendere un cammino che possa aprire gli occhi a chi ancora oggi sputa veleno e sentenze affrettate sulla faccia dell’ultras. E intendiamo farlo catapultando il tutto nell’esperienza vissuta, certo non paragonabile a quella di palcoscenici importanti sostenuti anche da categorie di primissimo livello, proprio perché probabilmente l’essere ultras rappresenta l’eccezione alla regola del più forte, la possibilità di ribaltare pronostici quando in campo una squadra sovrasta l’altra, quando una trasferta ad Anagni ha la stessa adrenalina di un mercoledì europeo in una curva della “cempionslig”, quando un pareggio acciuffato al novantesimo contro la prima della classe ti regala la gioia che altri provano solo se promossi in Serie C, quando trovi più stimolante affrontare una stagione che ti vedrà protagonista della lotta salvezza piuttosto che navigare in acque tranquille, quando preferisci una squadra di giovanissimi ed allievi che lotti fino al fischio finale piuttosto che vedere fasce per i capelli, braccialetti fluorescenti e “beautiful” che sonnecchiano sul pallone e al primo contrasto tolgono la gamba per evitare l’infortunio. Mentalità, appunto… mentalità.

 

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Uno dei nostri assidui “visitors” ha scelto “Essere ultras…” come titolo del proprio blog, ed ha condito l’interessante finestra virtuale con una serie di articoli. Tra le altre cose colpiscono le parole utilizzate per rispondere a quella domanda tanto ricorrente quanto inutile: “Chi è l’ultras?”. “L’ultras non ha un nome per il mondo esterno, solo gli amici lo conoscono. L’ultras non ha volto, spesso un cappuccio gli copre la testa, una sciarpa la bocca. L’ultras non si veste in modo normale, non segue le mode, boccia le novità. Quando sale su un treno, cammina su un marciapiede, anche se non ha vessilli della propria squadra lo riconosci. L’ultras attacca se attaccato, aiuta nel bisogno. L’ultras non smette di essere tale appena si toglie la sciarpetta o rientra a casa dopo una trasferta, continua a lottare 7 giorni su 7. L’ultras veterano da l’esempio a quello giovane, e quello giovane rispetta il veterano. L’ultras giovane è fiero di stare al lato del veterano, di imparare dalle sue critiche e inorgoglirsi dei suoi complimenti. Quando la gente guarda un ultras non lo capisce, e lui non vuole essere capito dalla gente, non dà spiegazioni sul suo modo di essere. Ogni ultras è diverso, c’è quello che veste solo materiale ultras e della sua squadra e quello che non ha neanche una maglietta del suo gruppo. C’è quello che si muove solo col gruppo e quello che fa gruppo per se. Gli ultras sono diversi ma li unisce l’amore per la propria squadra, la tenacia nel resistere oltre 90 minuti in piedi sotto la pioggia o al freddo, li unisce il riscaldarsi con un coro cantato a squarciagola, li unisce la sicurezza dell’amico che gli dorme accanto sul treno che ti riporta dalla trasferta, li unisce la passeggiata goliardica nella città avversaria, li unisce la gioia di partire per una trasferta e la stanchezza del ritorno, li unisce quel panino diviso in due dopo ore di digiuno, li unisce quella sigaretta offerta nello scompartimento e ridata in curva, li unisce quella litigata sull’esterno sinistro panchinaro fatta nella penombra di un treno notturno, li unisce quello sguardo dopo uno scontro, li unisce la mentalità. Le cose che ci uniscono contemporaneamente ci dividono dal mondo esterno, ci allontanano da genitori preoccupati, da zii scandalizzati, da compagni di classe impauriti e da professori disgustati. L’ultras è l’eccezione alla regola, è l’inaspettato che ti sorprende, è la sorpresa che ti smorza il sorriso quando pensi di averla fatta franca. L’ultras è anche il braccio che ti tira sul vagone prima che si chiudono le porte. L’ultras non è violenza gratuita, è la difesa intransigente di uno stile di vita messo in pericolo da biglietti nominativi, dalle pay-tv, dall’imborghesimento delle nuove generazioni, dalla tv-spazzatura e, soprattutto, dalla repressione. L’ultras è questo e molto altro, altri sentimenti non rinchiudibili in parole, incomprensibili alla gente comune che preferisce vivere dietro un vetro piuttosto che infrangerlo e entrare nella realtà, fredda e piovosa”.

 

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Commovente scritto, che meriterebbe un applauso scrosciante. Concezione ineccepibile di chi come noi vive non solo la domenica ma tutta la settimana insieme alla propria ciurma, non una combriccola di conoscenti ma un “manipolo di fratelli”, pochi ma felici. Pochi ma leali, pochi ma simpatici, pochi ma… ultras.