In casa con il Chieti

Una lunga storia d’amore

Ci innamorammo del calcio perché il basket ti rovina il fegato per esultare ad ogni canestro, mentre la Formula1 sa tanto di “sfizio per gli sceicchi” e sinceramente non ci va di guardare macchine “usa e getta” rincorrersi su una pista senza uscita. Le uniche volte che abbiamo “tradito” il nostro calcio lo abbiamo fatto per gare di pallavolo femminile, oppure per il curling. Nelle prime non ci è mai interessato il risultato finale, persi tra body e culi, aspettando la migliore inquadratura; mentre per il curling è stato amore a prima vista, forse perché è più entusiasmante far scivolare una pentola sul ghiaccio, che guardare una gara di baseball.

Ci innamorammo del calcio perché quella palla rotonda, Tango o SuperTele che fosse, SuperSantos o cuoio che rotolasse, era adrenalina allo stato puro. Il rincorrere un pallone ha un qualcosa di eccitante, come il “rincorrere” una che non te la darà mai, quella che tutti sanno “vergine” e che difficilmente crederà che tu possegga una “collezione di farfalle”. Lo segui, lo osservi, lo adori quasi come un talismano, pensi di poter intuire la prossima traiettoria, ma a volte devi accontentarti di guardarlo da lontano, incollato ai piedi dell’avversario. Contrasti, spintoni, rincorri e sei lì, ad un passo da lui, e come le migliori storie d’amore, quando i due si incontrano, non sanno cosa dirsi…e lo calci via, perché il bello sta proprio nel rincorrerlo e riprenderlo.

Ci innamorammo del calcio perché da piccoli abbiamo visto la Nazionale vincere un Mondiale soffrendo con Perù e Camerun, ma dominando Germania Ovest, Brasile ed Argentina, a dimostrazione che il calcio non potrà mai essere una scienza esatta, perfetta, banale e prevedibile. Tardelli, con quell’esultanza gridata in Mondovisione, ci diede il “colpo di grazia”, convincendoci che quello che i nostri occhi stavano fissando sarebbe diventato il nostro sport preferito. Bisognava solo scegliere da quale parte stare, in campo o sugli spalti. E mentre i più fortunati riuscivano a calpestare il verde prato, Noi dovevamo accontentarci di due zaini come pali e di una traversa che nessuno mai ha capito dove fosse esattamente.

Ci innamorammo del calcio perché conoscemmo Canà, il Patron Borlotti, Giginho, Bergonzoni, Aristoteles e Speroni e capimmo ridendo quello che sarebbe stato il “calcio moderno”. Tra i sette ottavi di Rumenigge ed i due terzi di Platini, sparse qua e là, immagini di tifo, dagli spalti del “Flaminio” al “Franchi”; dal “Maracanà”  al “Ballarin” di San Benedetto, in una sorta di corteggiamento verso chi, come Noi, aveva un debole per le gradinate. E fu subito amore.

Ci innamorammo del calcio perché dalle radioline udimmo la dolce sinfonia di “Tuttoilcalciominutoperminuto”  ed il mitico Ezio Luzzi, che con la sua flemma dispensava i gol della Serie Cadetta, allungando le parole, riempiendole di vocali. E amava “giocare” con l’ascoltatore, che udiva prima l’esultanza dello stadio e poi la sua proverbiale frase “attenzioneeee…intervengoooo per segnalareeee…”.

Ci innamorammo del calcio e, malgrado tutto, siamo ancora innamorati!