La trasferta di San Cesareo

Fino all’ultimo saloon

Fissare il solito ritrovo prima della partenza per la trasferta è un rituale assai misterioso, a metà tra l’esoterismo e la cartomanzia. Tratti esoterici non possono non balzare agli occhi, quando i “soliti noti” si presentano all’appuntamento con gli occhi diametralmente opposti come quelli di un camaleonte, mentre una pupilla prende il caffè, l’altra già sta fumando la sigaretta. Occhiaie, facce scure, volti funerei, passo lento e menti in corto circuito. E’ già tanto se dalle loro bocche viene fuori un rutto che ti dà il buongiorno, con quel tono vocale da corpo indemoniato pronto a contorcersi nel letto. Mentre, per quanto riguarda la cartomanzia, avremmo bisogno di una maga o di una fattucchiera che leggesse il mazzo o buttasse un occhio nel brodo di gallina, per indovinare i presenti, i “sola” e gli “ho avuto un imprevisto”. E pensare che c’è chi arriva all’appuntamento un’ora prima e con la sua proverbiale spensieratezza, che fa intendere che non gliene può fregar di meno di quale sia la distanza o l’avversario da affrontare, chiede: “Andò amma ì?”

Una volta raccolti i “superstiti” del sabato sera, inizia la roulette russa dei posti auto, che dopo una mezz’ora di discussioni ancora è incerta e senza esito, come se ci contendessimo una tutt’altro che frigida tedesca conosciuta ad Ibiza, piuttosto che un lercio sedile con macchie indecifrabili che nemmeno il luminol saprebbe riconoscere. Ma, quando tutto sembra “andare a puttane”, giusto per rimanere in tema, c’è sempre “il saggio” del gruppo, che risolve in cinque secondi ciò che una mezz’ora non è riuscita a “sciogliere”. Nemmeno il tempo di stringersi come sardine, che già è tempo di colletta per la benzina, terreno preferito per chi ha il cinquantone in tasca e crede, ingenuamente, che tornerà a casa con il biglietto color bianco-arancio “illibato”. Le sue previsioni andranno in fumo non appena si poserà davanti a Noi la sbarra del casello autostradale e si ritroverà sul palmo della mano una quarantina di “dobloni” in monete da uno e due euro.

San Cesareo non ha lo stesso fascino di qualche trasferta degli ultimi anni, anzi, a dir la verità, non ne ha proprio per niente. Anche volendo esser “buoni”, non riusciamo a trovare un motivo, uno, che possa rendere questa trasferta interessante o, per qualche verso, intrigante. Non si tratta di “rifiutare del pesce spada dopo aver mangiato caviale”, ma semplicemente di riconoscerne le differenze, tanto da rimanere delusi se nel piatto non c’è nemmeno una “fetta di limone” a dare quell’asprigno ad un pranzo troppo dolce e succulento.

Il parcheggio ospiti è il fiore all’occhiello dell’impianto, peccato però che debba venir “battezzato” dalle nostre vesciche in subbuglio, visto che nei paraggi non c’è nemmeno l’ombra di un saloon dove giocare una partita a poker e conquistare delle donzelle in corpetto e giarrettiera. Siamo stranamente in anticipo e la cosa non ci piace nemmeno un po’, così tergiversiamo e lasciamo trascorrere i minuti velocemente, per poi incamminarci al botteghino, all’ombra di un albero come se fosse l’entrata di un qualche parco divertimenti immerso nella natura, visto che sotto i nostri piedi c’è addirittura della ghiaia. Tanto per cambiare, anche a San Cesareo gli ospiti sono costretti a presentare busta paga e richiedere un finanziamento per pagare i “non giustificabili” 10 euro del biglietto, per la gioia del solo tizio col cinquantone, che in un secondo si libera di una manciata di monete dalla tasca dei suoi jeans.

Il settore è uno spreco di cemento grezzo, progettato a cazzo, con gli scoli per l’acqua piovana talmente sbagliati da creare pozzanghere sui gradoni. Ma la chicca di giornata è la scritta spray “bar”, con tanto di freccia ad indicare una direzione “consigliata”, che ti fa dimenticare che sei lì per la partita e quasi disconosci gli amici e getti la sciarpa che porti al collo, ma una volta che giri l’angolo, davanti hai solo un bagno chimico in stile rinascimentale, ma non per gli orli, bensì per l’ultima volta in cui è stato sterilizzato. Insomma, tocca guardarci la partita invece che bivaccare.

Una volta attaccate le pezze parte l’incitamento ai nostri colori, fatto di buon tifo, che però non raggiunge picchi e così ci limitiamo a mettere in scena una normale domenica di sostegno. D’altronde, l’atmosfera cupa di certi campi, ti deprime ancor più di un risultato sfavorevole. Ma qualcosa di buono vien fuori da una giornata così, già, perché domenica dopo domenica ci accorgiamo che sono sempre più i Fondani in trasferta ed è una bella sorpresa, quasi inaspettata, se si considerano le recenti delusioni.

Sul campo non si va oltre uno zero a zero che rende onore ai nostri combattenti, capaci di tenere a bada un avversario ostico. E così, terminata l’agonia, ritiriamo le pezze, “salutiamo” i presenti e ci avviamo ai “cavalli”, dribblando lo sceriffo. Speriamo che il prossimo saloon abbia almeno del buon whisky!