La trasferta di Perugia

Generazione Ultras

Non so come si chiamerà e non so nemmeno se sarà maschio o femmina. Certo, preferirei un maschietto, ma allo stesso tempo non vorrei che si facesse influenzare, sapete, non vorrei mai sentirmi dire che ha un debole per la divisa, non reggerei l’urto. E’ vero che i padri sognano di poter accudire e difendere una figlia, ma sarebbe più difficile farle amare il calcio e gli spalti. Un maschietto sarebbe ideale, già un maschietto, tutto come suo padre, bello, sano e soprattutto ultras.

Non gli chiederò certo di mostrarmi la pagella, nemmeno io ho mai dato tanto peso ai voti di chi siede dietro una cattedra. Non gli chiederò di diventare ciò che non potrà mai essere solo perché il mio volere lo vuole migliore degli altri. Gli chiederò semplicemente di vivere la vita come fece suo padre, una vita di strada fatta di amici e notti insonni, una vita che ti dà più di quello che chiedi, che ti fa crescere in fretta e che ti tiene lontano dall’omologazione dei mass media.

Due calci ad un pallone comprato per pochi euro, con un campo di gioco mai definito e che finisce dove termina l’immaginazione, tra una macchina e l’altra e chissenefrega se per far gol bisognerà dribblarle. E quel gol, tra due zaini senza libri, sarà la cosa più importante per la sua età, così come lo è stato per me.

Non so se quando sarà grande abbastanza da poter portare al collo una sciarpa, la parola “ultras” vorrà dire ancora qualcosa. Non credo che a scuola se ne parlerà, se non per associarla alla violenza. Ma leggendo qua e là e parlando con gli amici, sicuramente uscirà fuori quella parola magica, distintivo di generazioni passate.  E prima di consumare il pasto a tavola, con un po’ di timore mi chiederà: “Papà, cosa vuol dire la parola ultras?”

“Ultras! Per molti non vuol dire nulla, per pochi vuol dire tutto. Un bel po’ di anni fa, tuo padre ed altri suoi amici seguivano il Fondi. In quegli anni, in Italia, per poter assistere ad una gara della tua squadra in trasferta, dovevi essere in possesso di una tessera piena di contraddizioni che limitava la libertà individuale. Naturalmente, tuo padre ed i suoi amici, quella tessera non l’hanno mai avuta, ma partivano lo stesso, ogni qualvolta si giocasse in trasferta. Raggiungevano città lontane anche mille chilometri, sapendo di non riuscire ad entrare allo stadio, ma partivano lo stesso, infischiandosene di non poter raccontare i gol della propria squadra, l’importante era poter raccontare la trasferta. Figlio mio, “ultras” vuol dire questo!”

Non so se capirà, oppure se invidierà il suo amico, quello che ha il padre poliziotto e che ogni giorno gli racconta delle botte che ha dato molti anni fa a chi protestava contro la TAV. Non so se riuscirà a comprendere il significato della parola “ultras”, non so se sarà ancora orgoglioso di me dopo aver conosciuto il mio passato. Ma forse è troppo presto per pensarci…

Nel frattempo, il padre ed i suoi amici hanno raggiunto anche Perugia, venendo bloccati fuori il “Curi”, perché quella tessera non la faranno MAI!!!

2 pensieri su “La trasferta di Perugia

  1. …per anni mi sono occupato io di redigere il resoconto delle trasferte e, non per essere scortese, ne ho scritti di stupendi e strappa-lacrime, ma questo ha qualcosa in più. E chi Domenica è stato con me a Perugia credo terrà queste parole nel cuore per tutta la vita. Grazie Gep, grazie fratelli, la “Iacuele” continua a marciare ed a farsi rispettare ed apprezzare ovunque. Tutto questo grazie allo spirito che ci distingue.

    ORA E SEMPRE… ULTRAS LIBERI!

  2. Torno a scrivere dopo qualche tempo sul vostro sito. Oltre a rinnovare la mia ammirazione per una realtà come la vostra, voglio solo esprimere le mie più vive congratulazioni al resoconto sopra, soprattutto al futuro papà. Io lo sono diventato da 4 mesi, e mi rivedo, rileggo, in tutto ciò. Veramente un bel scritto, che viene dal cuore e si percepisce. C’è poco da fare, solo tra simili ci si riconosce e ci si capisce al volo. Ciao ragazzi.
    Uno d’Empoli

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