La trasferta di Lamezia

Cattive Abitudini

Appena quindici giorni fa arrivammo a lambire il tacco dello Stivale, questa volta invece, ci spingiamo quasi fino a toccare l’alluce del piede in fondo alla punta, fermandoci a Lamezia, ultima tappa in ordine di tempo di questo Giro d’Italia con l’acqua alla gola, in tutti i sensi. Si parte, e di questi tempi è già tanto, se non addirittura troppo, visto che in giro ci sono sempre meno carovane e sempre più telecamere. Qualche anno fa si partiva guardando sul Corriere dello Sport quali “facce” potevi incontrare ed incrociare; oggi il Corriere lo compri solo per far passare più in fretta la Salerno-Reggio Calabria, a meno che tu non sia uno di quelli che vanno matti per gallerie mai ultimate e birilli segna-corsia.

I nuvoloni neri ci scrutano da lontano e sembra che non abbiano voglia di “piangere” sulla nostra monovolume. E menomale, oseremmo dire, visto che la radio racconta di nubifragi ovunque e di Città allagate, salvo poi ricordarci che Belen aspetta un figlio. Beh, non c’è che dire, anche oggi possiamo mangiare tranquilli!

Lamezia la conosciamo, conosciamo il “D’Ippolito” e sappiamo che non vedremo nemmeno un filo d’erba, ma ci accontenteremo d’altro. Sta di fatto, che fuori lo stadio ci accontentiamo di evitare di calpestare mutandine di pizzo e profilattici, che ci fanno intuire che quel parcheggio la notte regala “emozioni” ed urla di gioia…altro che gol!

Oltre le strette fessure che abbiamo difronte, non si riesce a scorgere altro che cemento prefabbricato e vetrate in plexiglass e così lasciamo solo le orecchie a badare alla gara e cerchiamo con gli occhi qualcosa di bello. Spalle al campo, gettiamo lo sguardo giù in fondo, lì dove gli aerei volano in alto, per spiccare il volo sulle acque del Tirreno che baciano la costa lametina. E’ un attimo, ed il pensiero comune corre alla libertà, la libertà perduta dagli ultras italiani, stretti nella morsa della repressione, costretti a gioire se per una domenica si riesce ad entrare senza scheda nella tasca dei pantaloni e senza camminare in fila per due con l’amico tesserato.

La partita, per privarci di ogni gioia, ci regala zero punti, che sommati a quelli che abbiamo fanno un totale di…“siamo nella merda!”. Distogliamo lo sguardo dal mare, dagli aerei, da quel senso di libertà mai pienamente realizzato su questo suolo tricolore, avvezzo al complotto ed alla corruzione. Ripieghiamo la pezza e ci prepariamo a 480 chilometri di catrame, con l’unica, ma allo stesso tempo grande soddisfazione, di esserci stati anche questa volta.

Una volta sbucati sulla SA-RC, ci tuffiamo nel primo “Autogrill non convenzionato” e sfortuna vuole che all’interno ci sia un televisore che trasmette “DirettaGol”. Ma siccome le sfortune non vengono mai sole, ecco arrivare tre autobus pieni zeppi di “foulards celesti”, che ben presto scopriamo essere segno di riconoscimento per una non meglio precisata comunità religiosa campana di ritorno da un non meglio precisato Monastero vicino Vibo Valentia. Ma le sfortune continuano, visto che affollano i tavoli proprio mentre da Genova arrivano i gol del Napoli. Vi lasciamo immaginare, altro che fedeli…

Il tempo di un caffè al bancone sorseggiato come fosse il “siero della giovinezza” e ci accorgiamo che l’uomo in camice giallo alla cassa, a forza di cliccare i tasti gli è venuto l’indice rigido come una stecca da biliardo. Chissà quanti scontrini avrà fatto nella sua vita?

Chissà, forse è proprio l’abitudine a fare certe cose, a ripetere determinate azioni, che ti manda avanti per inerzia, la stessa che ci guida oggi ancora in trasferta, con tutti gli annessi e connessi, con tutti gli ostacoli presenti. Chissà, forse la nostra è questione di abitudini, cattive abitudini, ma dannatamente piacevoli!