La trasferta di Campobasso

Splendida follia

Dici Campobasso e ti solletica la mente l’ultimo ricordo chiaro, nitido, senza le ombre lunghe dell’alcol che ti hanno offuscato gli ultimi venti anni di vita. E’ la mattina di una domenica di settembre, le figurine tra le mani e te indaffarato nell’abbassarti i calzini stretti al collo del piede, che ti rigano la pelle e che tua madre insiste nel farti calzare. Sei piccolo, ma poi non così tanto da saper affrontare già quelli più grandi di te. Sono in tanti e decidi così di giocartela in modo diverso. Finirai col perdere tutte le tue figurine, quelle con gli angoli maltrattati, ma arriverai a casa sano e salvo, anche questa volta.

Uno di quegli stickers te lo sei lasciato in una delle tasche dei bermuda, assieme a quelli che non scambi e non giochi mai, che fanno compagnia agli “introvabili”, quelli che ancora oggi in pochi posseggono. Non sai nemmeno tu il perché, ma ci sono giocatori che non hai mai visto giocare, eppure sono entrati nella tua vita quasi come gli amori che hai incrociato appena adolescente, lasciando un vuoto incolmabile nel tuo cuore.

Maglia rossoblu della “ennerre”, rigorosamente in lana grezza, anche d’estate e nessuno si lamentava. Calzoncini inguinali, per muoversi meglio e far intravedere i quadricipiti scolpiti. Dietro un paio di baffi, un cult per quegli anni, l’animo buono di Michele Scorrano, difensore arcigno, un pezzo di granito come guida della difesa dei “lupi”, perché il calcio, quello vero, non è fatto di campioni, ma di leader taciturni.

Dici Campobasso e ti verrebbe da piangere se pensi che una delle pochissime cose buone che ti ha regalato questa infima Lega Pro è la possibilità di calcare gradoni di un certo spessore. Campobasso, dicevamo, Stadio “Nuovo Romagnoli”, inaugurato proprio contro dei campioni, come la Juve di Trapattoni, che qui, in Coppa Italia, dovette cedere il passo. Campobasso, prima dell’inizio di questa nuova era di calcio giocato, “non era certo una passeggiata”, né in campo né fuori.

Sarà per quell’aria mastodontica che intimorisce gli avversari, sarà perché una volta preso lo svincolo della Tangenziale Ovest, la stessa ti fa scivolare giù tutta d’un fiato, lì dove tutto sembra essersi fermato ed i nuvoloni, bucati solo dai fari, coprono come un cappello lo stadio ed assumono le sembianze di un funesto presagio, quasi come se ti dicessero: “Oggi sei tu il nostro avversario!”

Dici Campobasso ed in uno scampolo di lucidità, riesci a fare due conti e ad accorgerti che questa è l’ottava volta in appena tre anni che i nostri destini si incrociano. Realizzi, che questa è l’ultima trasferta della stagione e quasi ci rimani male, convinto sempre più che la tua non sia follia, ma pura e semplice passione. Tu ed i tuoi compagni di trasferta, ignari di classifiche e verdetti, continuate a girare l’Italia, alla ricerca di una libertà che forse non esiste più.

“E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio; perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero.”

2 pensieri su “La trasferta di Campobasso

  1. Vi leggo sempre da 4 anni a questa parte. Un bellissimo articolo. Complimenti.

  2. Domenica in Curva per salutare la Serie C.
    Tre anni indimenticabili, tre anni… a testa alta!
    Dentro e fuori, sempre presenti, sempre coerenti.

    ORGOGLIOSO DELLA MIA GENTE
    ULTRAS NEL CUORE E NELLA MENTE

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