In casa con l’Isola Liri

Febbre a 90°

Le temperature ballerine iniziano il loro giro di valzer e Noi iniziamo a contare i primi “feriti”, di quella che una volta era l’asiatica e che ormai cambia nome ogni autunno, seguendo la moda degli uragani nordamericani. Sta di fatto che se ti concentri, riesci a vedere anche i microbi saltellare e persino battere le mani a tempo, sui nostri cori. Fortuna vuole, che la giornata mite, al limite del primaverile, consenta ai febbricitanti di respirare aria pura ed agli altri di non dividere per forza la stessa fila di seggiolini con quelli già “in quarantena”.

Si gioca quello che in molti si ostinano a chiamare ancora “derby”. Ci chiediamo come può chiamarsi allora l’ormai alle porte ‘Isola Liri-Sora’, se questo di oggi viene inteso come un derby!?! Siamo puntigliosi, anche un tantino “scassacazzi”, ma bisogna imparare che nel calcio non tutto quello che si dà per scontato, poi lo sia realmente. Ecco perché sarebbe il caso che, partite del genere, vengano chiamate semplicemente “sfide”. Un derby ha dietro di sé un significato intrinseco, che spesso non è nemmeno paragonabile alla corsa di ventidue uomini dietro una palla rotolante. Un derby è una grande arena dove non si fronteggiano solamente due città vicine, spesso indistinguibili l’una dall’altra. Un derby è uno scontro tra territori, dialetti, tradizioni, usanze, feste popolari, tra popoli divisi magari da un lembo di terra, causa di lotte in passato, mai assegnato da secoli e che ormai è terra di confine. Ecco perché crediamo che non abbia senso etichettare questa gara con la parola “derby”.

Inoltre, negli ultimi anni, la sfida tra le due compagini si è ripetuta più volte, anche in Coppa Italia, tanto da perdere anche quel poco di appeal che aveva fino a qualche tempo fa. Rivalità non ce n’è, visto che dall’altra parte non si considerano “ciociari”, se mai questo potesse per Noi essere motivo di rivalità. E così, da un bel po’ di anni a questa parte, ogni volta che affrontiamo i biancorossi, immancabile è l’accoglienza colorita che riserviamo a colui che siede sulla panchina ospite e che in passato sbagliò spesso ad esprimersi nei nostri confronti, se mai quello che esce dalla sua bocca è “esprimersi”. Sinceramente, chiamarlo “derby” solo perché insultiamo giustamente il loro allenatore, ci sembra un po’ troppo.

La gara è di quelle sconsigliate ai deboli di cuore, di quelle che ti fanno sobbalzare ad ogni contatto in area e che maledirai quando, speriamo il più tardi possibile, ti ritroverai a “giocare a scopa” con il cuore. Allora sì che maledirai ogni singolo minuto di questa partita. Gare così non le vedi tutti i giorni e non sei mai sicuro che siano un bene per te e per il tuo fisico, mentre la tua mente ha già alzato il braccio e “votato sì”. Già, perché si soffre, si lotta, si corre, si rischia anche di rimetterci le coronarie, ma una rete per la tua squadra ormai a tempo scaduto è meglio di una tachipirina1000 a stomaco vuoto. I suoi effetti sono devastanti, così che la febbre sembra per un attimo far posto ad uno strano luccicare, che è sintomo di svenimento e non c’è altra soluzione che poggiare il tuo culo sui gradoni, per realizzare che è tutto vero e che per un soffio non ti sei giocato “pensione&nipotini”.

L’ultimo fischio di quell’uomo in giallo a centrocampo ti farebbe esultare ancora, ma sei combattuto, hai le gambe che non ti reggono e per un attimo ti immagini tra tanti anni, tu davanti a tuo nipote, che nemmeno ti capisce piccolo com’è, a raccontargli le tue giovani bravate, le trasferte, le donne e le “mazzate”, ci pensi su, ti fermi e posi ancora il tuo culo sui gradoni. Scegli per una volta di essere spettatore, di osservare e godere di una gioia senza farne parte, perché in fondo gioire dura un attimo, ma a te interessa l’eternità.