In casa con l’Arzanese

La nostra vittoria

Quanto tempo era che non lanciavamo le tonsille sulla rete? Quanto tempo era che non scoppiavamo in un boato per una realizzazione? Quanto tempo era che non sentivamo nostra una vittoria? Quanto tempo era che non sentivamo nostri quei gol in campo? Eh, quanto tempo? Quanto?

Ne è passato di tempo dall’ultima volta, forse troppo. Credevamo di aver perso quella scintilla che ti porta ad abbracciarti senza capirci più nulla, che ti fa saltare in aria con gioia, che ti fa urlare quella rabbia che ti cova dentro, che ti fa sorridere malgrado tutto. In quell’attimo ti senti ribollire nel petto, tiri fuori tutto, sei come in campo, come se avessi segnato tu la segnatura decisiva, come se fossi stato tu a scrollare la rete.

Credevamo di non saper più esultare ad un gol, pensavamo di aver visto già tutto, ed invece, vuoi perché in campo non ci sono più burattini, vuoi perché in panchina non c’è più un pagliaccio, ti ritrovi, quasi inconsciamente, tra le braccia del tuo vicino, mescolando urla verso il cielo. E’ difficile spiegare come sia possibile che un qualcosa che agli occhi degli altri può sembrare insignificante e ripetitivo come un gol, possa cambiare l’umore di questi ultimi innamorati folli.

Sarà perché da piccoli, tra le strade del quartiere, tutti volevamo essere gli attaccanti, nessuno il portiere. Sarà che il gol è qualcosa che ognuno di noi si porta dentro, fin da quando a far da pali ci son gli zaini e a far da spalti ci son finestre. Quando sogni di esser qualcuno di importante, ma solo perché gioca e segna, mentre da grande capisci che devi invidiarlo per altro, perché magari si fotte tutte le soubrette della tv italiana.

Sarà che non c’è nulla di più emozionante nel vedere tutti ed undici quelli che indossano la tua maglia, correre verso il tuo settore, lì dove ogni domenica riponi i tuoi sogni e le tue speranze e dimentichi il resto, la vita grigia ed il futuro nero. E mentre corrono verso di te, potrebbe anche toccarti il pacco una strafiga da paura…la scanseresti…vabbè, diciamo di sì…

Sarà che quegli undici in campo hanno capito finalmente a chi devono dar conto di una sconfitta o di una vittoria. Hanno capito chi ringraziare o evitare. Hanno capito con chi condividere una gioia, che poi sono gli stessi che li andranno a cercare se ce ne fosse bisogno. Gli stessi che non devono incontrare alle 11 di notte davanti ad un pub, altrimenti sono cazzi. Gli stessi che per strada non vogliono saluti né riconoscimenti, ma li barattano per sangue e sudore sul campo di gioco.

Sarà che proprio quando non hai giocatori e non hai numeri preferiti tutto sembra più bello e reale, quando non elogi il singolo ma il gruppo, quando non conosci i loro nomi, ma conosci i loro volti, pieni di rabbia, che corrono festanti verso di te. Ed è lì che ritorni bambino, immagini i palazzi, le finestre, i vetri rotti, le porte, il gesso per le linee, la tipa alla finestra che ti osserva e quella palla colore arancio che trafigge la schiappa destinata a giocare sempre tra gli zaini. E tu che corri, esulti, urli, guardi la tipa, lei sorride, è fatta!

Questa è una vittoria, la nostra vittoria!