In casa con il Gavorrano

Quella sporca dozzina

Domenica, su quei gradoni, saremmo stati su per giù una dozzina, non di più. E non meravigliatevi se rimane il dubbio del numero esatto, perché si sa, le piccole realtà come la nostra, non sono abituate a contarsi, né a dare importanza ai numeri, al massimo contiamo i giorni che ci separano dalla prossima trasferta. I numeri, già…a quelli non abbiamo mai riservato spazi nelle nostre menti, lasciandoli a chi sui numeri lucra e con i numeri gonfia il petto. Quelli che non digeriscono gli occasionali, dopo che questi gli son serviti per vantarsi con gli avversari, ecco a chi ci riferiamo, un po’ tutti a dire il vero.

Già, i numeri, che in fin dei conti servono solo ai fotografi. Perché vorremmo vedere in quanti continuerebbero a seguire se invece dei loro 300, fossero i nostri pochi, pochissimi, ultimi ribelli testardi rimasti. Partite come quella di domenica ti fanno riflettere, perché hai novanta minuti senza avversari sugli spalti opposti, zero motivazioni, solo la voglia matta di cantare sotto un acquazzone. Come i vecchi tempi, quando giravamo i campetti di Eccellenza con gli occhi gonfi di notti in bianco, per una partita da giocare alle 11 del mattino, a duecento chilometri di distanza dal tuo letto.

E’ bello vedere che quel manipolo di “non più giovanotti”, riesca a trovare le giuste motivazioni anche quando sembrerebbero non esserci. E se, a fomentare teste quasi calve o tendenti al grigio, basta la pioggia incessante, vuol dire che in fin dei conti, gli anni passati a rincorrere le maglie rossoblu sopra campi di sabbia son serviti. Son serviti a farci capire la vera essenza dell’essere ultras, del non farsi scoraggiare da una gara non vista, da una brutta classifica e da una visione pessimista.

Ed è così, che ti ritrovi al tuo fianco chi davvero condivide la tua idea e non un primato in classifica. Canti assieme a chi soffre come te e non con chi, una volta che l’arbitro fischia, pensa già al posticipo. Urli e strilli come chi conosce Anitrella, come chi è stato a Jenne e come chi ricorda Giardinetti e non come chi oggi c’è e domani chissà. Salti e ti dimeni come chi ha visto da vicino la Svizzera, fermandosi a Cantù, passando per Bologna e non pensarci più. Guardi gli occhi dei tuoi amici, di quel numero imprecisato di folli che non ti lascerà mai solo, che hanno il tuo stesso sguardo e lì capisci che solo loro sanno sorridere sotto gocce che vengono giù come sassi, mentre la tua squadra soffre e la classifica piange, ma loro sorridono e sorridi anche tu.

E così ti tappi le orecchie e guardi avanti; k-way, cappuccio e tanta voce ed è così che dimentichi tutto, compresa la pioggia. E sotto una “sassaiola” di gocce gelide continui a cantare, con quella sporca dozzina che ti segue, che non si dispera, che non si volta, non si conta, ma conta, conta più di tutto il resto!