Finché Vivrò #7

Finché vivrò…

Questa volta ci sembrava giusto rompere gli schemi con una copertina hot, sì, proprio ora che sta per arrivare il grande freddo, o almeno così sembra. Immagine significativa, in riferimento al fortunoso 0-0 di Viterbo, ed il pubblico del "Purificato" ha particolarmente gradito, soprattutto quello di sesso maschile. All’interno i resoconti della gara casalinga contro le Rondinelle Aprilia e della trasferta in terra sabina contro i gialloblu viterbesi. Seconda colonna dedicata al ricordo della stranissima morte di Denis Bergamini, calciatore che portò il Cosenza in Serie B e misteriosamente deceduto sulla Statale Jonica. A distanza di venti anni ancora non sono stati trovati i colpevoli del suo omicidio. Spazio per un’altra morte avvolta nel mistero, quella di Stefano Cucchi. Che i mandanti siano gli stessi dell’omicidio Sandri? A voi lettori l’ardua sentenza. Ultima pagina dedicata, come sempre, agli scatti delle ultime giornate, i Risultati e la Classifica, con il Prossimo Turno di Campionato.

Anno VII – Settimo Atto

3 pensieri su “Finché Vivrò #7

  1. Venti anni fa la strana morte di "Denis" Bergamini

    Avete mai sentito parlare del "calciatore suicidato"?

    Il 18 Novembre 1989, nel tardo pomeriggio, sulla Statale106, nei pressi di RosetoCapoSpulico (Cosenza), moriva Denis Bergamini, centrocampista del Cosenza1914, all’epoca in Serie B. Vent’anni addietro, un’eternità vissuta come un lampo nella memoria di chi Bergamini lo ha visto correre come un leone sul tappeto del “San Vito” e ne apprezzava la mitezza del carattere.

    Denis, 27 anni e gli occhi del Parma di Nevio Scala addosso, era uno dei calciatori più amati tra i tifosi cosentini, artefice della promozione in Serie B dei Lupi. Classico interno di centrocampo, cuore e tenacia, dotato di buona corsa e grande tiro, il calciatore moderno che ogni allenatore vorrebbe. Il Cosenza, in quei tempi, frequentava i Cinema al Sabato prima di ogni gara casalinga, per tenere lontana la noia da ritiro e distendere i nervi dei calciatori. Quella sera, i Lupi, in attesa del match col Messina, si trovavano al “Garden” di Rende, nell’area urbana del capoluogo. Bergamini era lì con il resto della squadra, allenata da Gigi Simoni, quando, durante la proiezione, lasciò il cinema e si diresse a bordo della sua Maserati dalla fidanzata Isabella. Poi, insieme, imboccarono l’Autostrada Salerno-ReggioCalabria, in direzione Nord, e, subito dopo, la Statale Jonica 107. Nessuno saprà mai cosa realmente si sono detti in quei 45 minuti del trasferimento verso il luogo della tragedia. Il racconto della Internò diventa la testimonianza unica sull’epilogo, e narra di attimi fatali, con Bergamini che si lanciò sotto un camion in corsa guidato dal camionista Raffaele Pisano di Rosarno. Fu la fine, si parlò di delusione amorosa, di altri problemi connessi alla droga, ricatti, della volontà del calciatore di scappare in Grecia. La città si strinse alla famiglia. Un pugno allo stomaco per quella realtà sportiva, che aveva costruito la rinascita a costo di enormi sacrifici e voleva sognare il suo piccolo campione con in mano il destino di una seconda promozione, in Serie A. Gli amici ed i compagni di squadra più stretti di Donato, brancolavano nel buio senza spiegazione. Al funerale arrivarono a migliaia, sul sagrato di Piazza Loreto. Padre Fedele Bisceglia, vicinissimo alla squadra ed agli ultrà del Cosenza1914, non si dava pace. Le bandiere rossoblu dei fan, la maglia sulla bara, le lacrime attonite della famiglia, del padre Domizio e della madre. La bara uscì tra gli applausi, portata a spalla dai compagni di squadra, mentre i tifosi intonavano il nome del calciatore.

    La motivazione ufficiale del decesso, secondo le indagini delle Forze dell’Ordine, fu il suicidio per una delusione amorosa, una motivazione che non convinse fino in fondo. Della vicenda, che ha i contorni del “noir”, si è parlato negli scorsi anni. In particolar modo dopo l’uscita del libro di Carlo Petrini, ossia “Il calciatore suicidato”. Nome che, già nel titolo, esprimeva la tesi dell’autore. Vent’anni dopo, di Denis Bergamini rimangono molte cose. Basta pensare al simbolo del tifo bruzio, la CurvaSud dello Stadio “San Vito” che porta proprio il suo nome, ed un gigantesco murales campeggia dietro la frangia più calda della tifoseria cosentina. E spesso si ode risuonare il suo nome nei cori. Il giorno dopo la sua morte, il Cosenza vinse 2-0 sul Messina in un clima surreale. Ed oggi, come allora, la bandiera vera, quella di Denis, sventola alta sullo Stadio “San Vito”, per chiedere Verità e Giustizia!

  2. Stefano Cucchi, un’altra vittima degli abusi di potere

    …chi sarà il prossimo?

    Stefano, un ragazzo romano di 31 anni, fermato nella notte tra il 15 ed il 16 Ottobre dai Carabinieri, trovato in possesso di alcuni grammi di droga e da allora entrato in un vortice senza fondo. E’ morto all’Ospedale “Sandro Pertini”, senza aver potuto vedere la famiglia. Si sono svolti poi i funerali, a Tor Pignattara, il quartiere dove viveva insieme ai genitori. La Parrocchia di Via Filarete era gremita: “Gesù è morto sulla croce, massacrato come un delinquente, una morte da condannato che però risorgerà a vita eterna”, ha detto Don Valerio. Quella parola “massacrato” non è così casuale. I famigliari e gli amici di Stefano sospettano infatti che sia stato picchiato, selvaggiamente! Di certo aveva due vertebre rotte e la mandibola frantumata. Quando la sorella ed i genitori hanno finalmente potuto vedere il corpo di Stefano, non hanno avuto dubbi: “Era sfigurato, il volto nero come se fosse bruciato”, racconta Ilaria. Ma cosa è accaduto? Dove? E perché? Non ci sono certezze “Ad oggi – insiste la ragazza – non abbiamo un atto, nulla in mano. Stiamo cercando faticosamente di capire. Noi vogliamo andare fino in fondo”. Intanto la famiglia Cucchi s’è affidata agli stessi Avvocati che hanno seguito il caso di Federico Aldrovandi, ucciso da quattro poliziotti a Ferrara.


    La storia inizia così la notte tra Giovedì 15 Ottobre e Venerdì 16: Stefano viene fermato dai Carabinieri, insieme ad un amico, nel Parco degli Acquedotti. Addosso gli trovano ben venti grammi di fumo – forse marijuana – e 2 grammi di cocaina. Secondo alcune fonti ci sarebbero anche due pasticche di ecstasy. Comunque i ragazzi vengono portati alla Stazione di Capannelle, dove poi vengono interrogati in stanze separate. L’amico di Stefano viene rilasciato. Lui, invece, passa tutta la notte in una Stazione dei Carabinieri, forse non la stessa in cui è stato interrogato. Nel frattempo i Carabinieri vanno a casa dei genitori per perquisire la stanza di Stefano. Questi passaggi sono infatti stati raccontati dettagliatamente dal padre Giovanni (Geometra, il figlio lavorava con lui) in una lettera inviata ai suoi legali.

     

    “I Carabinieri – aggiunge Ilaria dicono poi a mia madre di stare tranquilla. Che il quantitativo di droga rinvenuto è minimo. Che il giorno dopo Stefano sarebbe stato rimandato subito a casa. Le restituiscono anche le chiavi dell’auto”. Il giorno dopo – Venerdì – c’è il Processo per direttissima a Piazzale Clodio. I Cucchi sono abbastanza tranquilli, si affidano a un Avvocato d’ufficio. Le cose non vanno come dovrebbero andare: sia perché l’Udienza viene rinviata al 13 Novembre. Ma soprattutto perché i famigliari già vedono il volto di Stefano gonfio e si preoccupano. Il giorno dopo un Carabiniere comunica alla famiglia che Stefano è stato ricoverato. Inizia l’incubo! Intanto, c’è un qui pro quo sul luogo del ricovero. Ma quando capiscono che il ragazzo si trova al “Sandro Pertini” vi si precipitano. I genitori di Stefano però non riusciranno mai a varcare la soglia del reparto medico carcerario e nessuno spiegherà loro che, per entrare, devono chiedere un’autorizzazione. I genitori chiedono di poter almeno parlare con un medico. Nessuno scenderà mai a dare notizie. Intanto Stefano sta malissimo. Muore Giovedì, probabilmente all’alba, ma i genitori vengono avvertiti solo dopo le 12. “Qualcuno – dice Ilariami ha raccontato che Stefano aveva chiesto una Bibbia. Sapeva che stava morendo. Da solo”.

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