Archivi del mese: Ottobre 2006

Basta un poco

di zucchero…

E la pillola va giù, la pillola va giù, la pillola va giù! Basta un poco di zucchero e la pillola va giù, forza sempre i rossoblu! Ma sì, perché la nostra fede sconfitta non vede. Ve lo ricordate lo striscione aperto a Rocca di Papa qualche annetto fa? Ebbene, torna d’attualità, ora che la classifica ci mette di fronte ad un bivio: c’è bisogno di punti, un disperato bisogno di punti. Il morale ha bisogno di essere cibato, annaffiato di un primo successo, così come la rete avversaria deve essere trafitta, perché il vero problema di questo momento è il goal! Di gioco se ne vede, anche trame interessantissime a dire il vero. Ciò che latita sono le marcature e l’incontro casalingo con il lanciato Frascati deve per forza coincidere con l’abbattimento di questo taboo. Troppo importante agguantare la vittoria, fondamentale fare bottino pieno per allontanarci dalle zone caldissime, anche se il campionato è appena iniziato. Con una squadra giovane come la nostra è decisivo il morale, non ci stancheremo mai di ripeterlo. Certo, a farci visita sarà una formazione retrocessa dalla Serie D, ed assolutamente intenzionata a tornarci nel più breve tempo possibile considerato che la rosa messa su è stata confezionata in estate con tanto di investimenti pesanti sperando in un ripescaggio che non è arrivato. Ci sarà da sudare, da buttare sangue! Sangue&Sudore, sì, ardore sportivo e cattiveria agonistica, voglia di mordere la palla, scivolare sul sintetico senza timore di un graffietto per agganciare la sfera e partire verso il portiere ospite.

L’impegno non manca, ed anche a Cecchina sono stati gli episodi a condannarci, anche se nel complesso il risultato non fa una piega. Forse troppo il divario di due reti, ma arrivare sul bolide di Alonzi e sulla magia di Gabbi è stato per Assogna un sogno proibito. Due goal della domenica, e si torna a casa a mani vuote, dopo aver visto comunque un Fondi “in” con la solita grinta messa in mostra già a Velletri e col DianaNemi. Le squalifiche di Pasquali e Langiotti, le assenze di Di Biasio e del tanto atteso Varroni hanno fatto il resto, costringendoci in campo con una formazione da Sabato pomeriggio, roba da Juniores. Ma i ragazzi rossoblu hanno tenuto i biancorossi in apprensione per buona parte del primo tempo, capitolando solo sul goal del vantaggio. In luce in particolar modo un Marrocco ispiratissimo ed un Paolella che ha fatto di tutto per guadagnarsi una maglia da titolare. In difesa ottima la prova di Pelliccia e Monforte che hanno tenuto a bada le bocche di fuoco di Paloni, tanto che a regalare la vittoria ai padroni di casa sono state le realizzazioni di difensore e centrocampista. Per il Fondi i problemi si son registrati al centro con la coppia mediana Conte-Lorello spesso in apnea di fronte all’esperienza dei locali, per il resto va detto che, nonostante la superiorità numerica per quasi tutto il secondo tempo, non siamo riusciti ad impensierire il portiere biancorosso se non nei primi venti minuti della partita, prima con un inserimento di Paolella spentosi di fronte ad una gran parata di Muscedere ed a seguire con una bella azione personale di Marrocco.

La partita sugli spalti ha visto come sempre la nostra presenza, di sicuro colorata e colorita, con quella pazza goliardia che ci distingue ed anche se sotto di due-tre-quattro reti ci fa continuare a cantare, a sostenere gli undici in campo che indossano “la nostra maglia”. Il clima estivo ci mette come al solito del suo, e la “pettata” è servita, anche se le condizioni fisiche non sono ottimali per tutti eh… cori al momento in sala parto, spontaneità che regna sovrana, battimani e boati che hanno probabilmente reso più vivace l’incontro anche per i duecento spettatori di Via Spagna, comodamente seduti all’ombra tra il simpatico Cangianiello (di chiare origini settentrionali!) e la gradita presenza di “che s’ha vist”. Anche questo è la nostra folle ed irrinunciabile domenica al seguito del Fondi! Ogni santa domenica!

Una cosa sentiamo di doverla però ricordare a chi scende in campo: questi scalmanati che si sobbarcano km e km per esserci sempre, questi pazzi che restano senza voce per sostenere la propria squadra, questi irriducibili che timbrano il cartellino senza mai assentarsi meritano un saluto, un abbraccio ideale al termine di ogni partita, quando si vince ma soprattutto quando si perde. Perché è in quei momenti di delusione che solo un ultras, la passione dei suoi occhi, la mano stretta attraverso la rete, che può far riacquistare fiducia, stimoli, voglia di tornare a combattere, frenesia perché la prossima gara arrivi subito ed hai il chiodo fisso di volerla vincere per dare a quei folli una gioia, una soddisfazione, la dimostrazione che uniti, con l’obiettivo nel mirino, si può vivere un anno comunque speciale.

Ottobre ’06

Sottotitoli ottobre’06

Secondo appuntamento con la rubrica dedicata ai Sottotitoli del nostro originalissimo blog. Mese di Ottobre che apre il sipario stanotte e nuovo affondo, nuovo diretto che ci terrà compagnia fino all’alba di Novembre. Come già spiegato in occasione del debutto di questo speciale angolo della nostra finestra internettiana, si tratta di un romanzo a puntate che offre spunti di militanza ultras, romanticismo sportivo e vecchie maniere, antichi valori ed inossidabili ideali, alterazioni mentali e stili di vita. Ed è proprio seguendo il filone del taglio del nastro, dedicato al mitico “Essere ultras… esserlo nella mente”, che prosegue il nostro viaggio. Sentiero percorribile solo se si è in possesso di tanta fede, passione, amore, volontà e disponibilità al sacrificio, praticamente solo se si è “veri ultras”, solo se si è leali e differenti, distanti e distinti, di un’altra pasta e di un’altra stoffa, diversi e strani, non omologati e non omologabili. “Merce rara” appunto, in un calcio dove a farla da padrone sono sempre e solo i denari, le capacità economiche, le tasche dei giocatori, il business legato alle scommesse, lo squallore del presunto progresso ed il buonismo dilagante.

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Sì, è ispirato a quel drappo della Sud di Roma il sottotitolo di questo Ottobre che non si preannuncia tanto meno caldo e umido del mese appena andato in archivio. Ispirato ad una pezza che per molti è equivalente ad un Comandamento, un diktat da rispettare ed onorare, sempre e comunque. Ha fatto storia, non lo si può e non lo si deve nascondere. Perché è alla base di tutto ciò che rappresenta nel mondo moderno l’ultras. “Una curva non è un ritrovo di squilibrati ma di pazzi per scelta” ha scritto qualcuno, aggiungendo che “in ogni città trovi i difensori della propria vita ed i figli della tv perché non tutti sono antagonisti. Antagonista non lo si è per scelta e soprattutto non lo si è per caso. Essere ultras non significa essere selvaggi (come piace pensare alle massaie ed ai giornalai). L’ultras nasce come sostenitore della propria squadra o meglio della propria città. I giocatori in campo in pochi casi sono considerati dei veri e propri leader meritevoli di un seguito (per così dire personale), il fine primario dei sostenitori rimane perciò l’attaccamento alla maglia. Incitare una squadra, infatti, non necessita un amore incondizionato nei confronti degli elementi di quella. Il tifo è una causa, non un mezzo. Essere in grado di urlare, sbeffeggiare o piangere vuol dire essere in grado di vivere ma soprattutto di mettere da parte l’indifferenza”.

 

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“La sofferenza di un ultras è la sua linfa vitale, le sconfitte della propria squadra non sono che vitamina per l’orgoglio della propria fede. Vi sembrerà un paradosso ma la maggior parte dei grandi tifosi nei tempi cupi rinvigoriscono il proprio amore per la maglia. Nei tempi amari decade ogni forma di imborghesismo del tifo e la selezione si fa naturale, allo stadio si vede bella gente. Il richiamo dei finti tifosi o dei modaioli è inesistente, lontano. In quei momenti ci sta solo chi ci crede, chi non molla. È vero che i tempi cambiano come cambiano le persone cha vanno allo stadio ma l’onore di rappresentare una curva non va sottovalutato ne dagli ultras ne dai semplici tifosi. Davanti al bene della curva non esistono scuse così come non dovrebbero esistere rammolliti. Affinché in curva si possa ridere e piangere è necessario il coinvolgimento di tutti. C’è differenza tra ultras e semplici tifosi perché un ultras non è un semplice tifoso. L’ultras è quello che si muove 7 giorni su 7 per la sua squadra, è quello che mette la propria passione davanti alla moglie ed al principale e che a lungo andare poi ne paga le conseguenze. È quello che se avesse risparmiato i soldi per l’abbonamento e le trasferte avrebbe potuto avvantaggiarsi con il mutuo della casa, è quello che ha imparato più dalla strada che dai libri e grazie alla propria intraprendenza ha trovato uno stile di vita. Stile come capacità di distinguersi, vita come incapacità di rassegnarsi. L’ultras è tutto questo ma non solo”.

 

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“Fuori e dentro il campo un vero ultras conosce il copione a memoria, guarda un film già visto, ha davanti a sé un libro aperto. L’ultras è quello che ha la laurea ad honorem alla facoltà di vita da strada. È l’uomo che non ha paura di essere uomo, è l’attore che non ha paura di essere protagonista. Nei periodi di crisi le polemiche nei confronti dei giocatori, degli allenatori, della dirigenza, degli arbitri e di chi sta dietro questi ultimi sono giuste, ma serve compattezza sia per non creare confusione sia per continuare a delineare gli ideali veri, tanto cari a coloro che li rappresentano nella propria vita vicino e lontano dallo stadio. Coloro che rappresentano ufficialmente i colori della squadra hanno come primo compito quello di rivelarsi seri e sensibili alla causa. La causa per un vero tifoso non sempre rivive nella vittoria, ma nell’agonismo che dovrebbe caratterizzare fondamentalmente i giocatori che scendono in campo. Gli ultras sono il popolo, parte della moltitudine, quella parte che quando combatte si trova inevitabilmente in prima fila. I cani che non abbaiano, quelli che se lanciano la pietra non nascondono la mano, ciò di cui il resto delle branchie avrebbe bisogno nel caso si svegliassero dal letargo, perché la squadra di calcio per molti di noi è parte integrante della propria identità. In certi casi è come parte del corpo; rischia di manifestarsi in fibrillazione o in mal di testa. Tanti ragazzi hanno un obiettivo nella vita, che sia sposarsi, trovare un lavoro, prendere una laurea, viaggiare, scrivere un libro, fare volontariato, imparare una lingua o far parte di un gruppo, poco importa. Quello che conta è sapere di aver sostenuto il proprio sogno, combattere in difesa dei propri ideali o almeno delle proprie idee. Gli ultras hanno un obiettivo comune contro cui lottare: la loro scomparsa”. Sì, avete capito bene, perché il problema maggiore della nostra Italia sono loro, siamo noi, gli Ultras. Eppure non si tratta ne di barbari, ne di pazzi, ne di alieni tantomeno di disperati senza lavoro o senza famiglia, si tratta di ragazzi che vivono la loro più grande passione in maniera totale, piena, senza tentennamenti, senza rimorsi, pensano ed agiscono, non tradiscono e non si vendono, e forse il “difetto” è proprio questo, chissà!